28/02/18

Incontro tra culture

"Angelica, ma cosa stai canticchiando?"
"È una filastrocca che ho imparato a scuola"
"Ah. Ma non riesco a capire cosa dici. Che lingua è?"
"In effetti nemmeno io capisco bene le parole e forse non le dico neanche giuste. È in marocchino, me l'ha insegnata la mia compagna"

L'ho sempre detto che l'insegnamento più importante in questa scuola, per Angelica, sarebbe arrivato dalla commistione tra mezza dozzina di etnie.
(E sempre meglio che se fosse stata una filastrocca in dialetto piemontese)

27/02/18

Una cosa seria

"Cosa pensi di fare coi tuoi capelli?"
"Quali?"
"Quelli tuoi"
"Dove sono?"
"Sulla tua testa"
"Ah. Dal modo in cui l'hai detto sembrava che ne avessi trovati da qualche parte, come se io li raccogliessi e li nascondessi"
"Non hai risposto"
"Non ho capito la domanda"
"L'hai capita"
"Uffa. Si, lo so, sono disordinati, senza forma e bianchi. Ma che ci posso fare se non ho avuto il tempo di andare dalla parrucchiera..."
"Lucy, tu non hai avuto il tempo di andare dalla parrucchiera di Bagheria. Anche qui a Torino ci sono i parrucchieri"
"Sì, ma non mi piacciono"
"Non ne hai mai provati"
"Eh, ma lo volete capire che non è come per un uomo, che purché non faccia troppe domande e abbia il calendario di playboy appeso nel salone, qualunque parrucchiere va bene?! Il parrucchiere è una cosa seria, ti deve capire anche quando non sai spiegare, deve guardarti e immaginarti, deve sapere cosa ti piace, conoscere il tuo stile di vita e il rapporto che hai con l'estetica, con il sole, il vento, il mare..."
"A Torino non c'è il mare, e siamo a febbraio, non andresti al mare nemmeno se fossi a Bagheria"
"Non ha importanza"

Ma dico io. Uno dei più veritieri luoghi comuni sulle donne terrone emigrate è quello dove i capelli se li fanno fare sempre e solo dal parrucchiere di giù! Chi sono io per rovinare questa tradizione?

(SMS di stamattina: "Avevo un tuo capello sul maglione. L'ho riconosciuto perché iniziava bianco e, dopo parecchi centimetri, diventava castano e poi quel biondo da decolorazione dopo che la tinta è stata totalmente lavata via")

26/02/18

Il trenino del termometro

Non solo devi misurare la temperatura alla bambina di 16 mesi che accudisci (e infilare un termometro sotto l'ascella di qualcuno che abbia meno 10 anni - come tutti sanno - si annovera tra le imprese più ardue al mondo, che a suo tempo Ercole la scampò solo perché il termometro non lo avevano inventato) ma devi anche fronteggiare la curiosità-gelosia del fratello gemello, che non tollera che qualcuno utilizzi un oggetto per lui nuovo in prossimità della sorella, tra l'altro tenendola  anche in braccio stretta stretta, e lui non sopporta che qualcuno la coccoli senza fare almeno una moina a lui.

Io non so se dal palazzo di fronte qualcuno mi restituisce il favore, spiandomi da dietro le finestre e osservando cosa faccio coi bambini, ma se così fosse oggi si sarebbe chiesto che diamine di gioco fosse quello dove la baby-sitter tiene stretta e costretta in braccio una bambina che si dimena, mentre cammina accennando passi di danza e cantando a squarciagola quello che dal labiale si riconosce come "Bi e aaaaa, bi e e, ba be, bi e i ba be bi, bi e o ba be bi bo, bi e u bu ba be bi bo buuuuu" con l'altro bambino che le va dietro indubbiamente urlando e cercando di afferrarle le gambe per bloccarla, placcarla, arrampicarvisi di sopra e strappare via dallo scollo della maglia della sorella quello strano bastoncino che quell'ingiusta ha messo solo a lei mentre a lui ha detto che non si tocca perché non è un giocattolo.

Si chiama "trenino del termometro", signora.

23/02/18

Giuseppina

"Certo, Lucy, sarebbe utile capire il perché di questo suo comportamento"

Tu lo sai, maledetta psicologa, te lo leggo in faccia. Tu sai perfettamente il perché di questo mio comportamento. E sai anche che, in fondo, io lo so ma non lo ammetto, non lo riconosco, non lo voglio dire. Me lo leggi in faccia.

"Lucy, il suo è un comportamento ben definito, chiaro e ricorrente. In questo contesto specifico, stando a quel che mi racconta, lei si comporta sempre allo stesso modo. Un modo che lei stessa riconosce come "sbagliato", ma che ripete e ripete e ripete. E allora sarebbe importante il perché"

Adesso lo so. E so anche che non posso più negarlo. Devo dirglielo. Devo dirlo ad alta voce. Lo dico.
Lei sorride. Ho indovinato.

"Bene, dottoressa. Anzi male. Malissimo. Che speranze ci sono? Si può guarire? O me lo porterò fino alla morte?"
"Dipenderà da quanto lei vorrà davvero cambiare"

In sole tre sedute con la nuova psicologa ho dato un volto al mio mostro. La ragazza ci sa fare.

22/02/18

Rovinare la piazza

Sono sinceramente dispiaciuta per il fatto che Mario non saluti più Matilde quando ci incrociamo al semaforo. Anche perché mantiene le distanze solo quando ci sono anch'io, mentre se Matilde è sola fanno persino la strada insieme. Sarà anche vero che, in forma cautelativa, le ho detto di raccontare ai compagni che la sua mamma siciliana ha imparato a sparare con la lupara prima di imparare ad andare in bicicletta, ma non credevo che sarebbe stato così efficace, e che si sarebbero messi questa paura che li paralizza quando mi vedono.
Mi dispiace di rovinarle la piazza, ci tengo ad avere un genero, prima o poi ;-)

21/02/18

Il salvatata

Non li perdo mai di vista per un solo istante.
Sono con loro quando saltano sul divano. Sono con loro quando giocano col gatto. Sono con loro quando mettono in bocca qualunque cosa trovano sul pavimento.
Sono con loro.
E loro sono con me, sempre.
Sono con me quando vado in bagno.
Sono con me quando mangio.
Sono con me quando metto in ordine la casa.
Non li ho mai lasciati da soli nemmeno per un istante. Tranne oggi.

Loro giocano in soggiorno. Io ho finito di stirare. Loro sono tranquilli, io sono ingenua.
Prendo la biancheria e vado a posarla in camera. Avevo acceso la luce in corridoio, altrimenti non me ne sarei nemmeno accorta. Si spegne.
Torno velocemente in soggiorno e li trovo entrambi dietro il mobile porta-tv, con un groviglio di cavi elettrici e spine in mano.

Da oggi il salvavita si chiamerà "salvatata".

20/02/18

Tornare a casa

Suona il gong. La ragazza ci chiede: "Come vi sentite?"

Ho scovato un piccolo gruppo di ragazze che si riuniscono per fare una meditazione in cerchio. Io ho praticato meditazione in gruppo per anni, ma da quando sono a Torino non ho avuto modo di frequentare nessun centro, un po' per gli orari, un po' per il senso di colpa a lasciare da sole le mie figlie ancora una volta, un po' - lo ammetto - perché Torino è più costosa di Bagheria. 
Lo faccio a casa, tutte le mattine, ci provo, ma non è lo stesso. Ci sono attività che devono necessariamente essere svolte fuori casa e in compagnia, anche se non sono attività sociali.
Ho scoperto questo gruppo per caso, perché in realtà mi stavo interessando a un corso di pasticceria vegana e un gruppo di studio della filosofia buddista. Si riuniscono a settimane alterne dal lato della città diametralmente opposto a dove abito, ma la fortuna vuole che sia al capolinea di un autobus che ha l'altro capolinea a due passi da me. 50 minuti di tragitto, ma devo prendere solo un mezzo. E a settimane alterne posso anche riuscire a tenere a bada il senso di colpa.

"Io sono stata benissimo. Non praticavo in gruppo da almeno 5 o 6 mesi ed è stato bello ricominciare. È stato come tornare a casa".

Il mio corpo, la mia mente, il mio sé. La mia unica, vera ed eterna casa.

19/02/18

L'inizio della fine

Matilde ha creato un'applicazione per smartphone, un giochino scemo che ti fa estrarre una carta da un mazzo e non prende più la stessa carta fino a quando non finisce tutto il mazzo, oppure non gli dici tu che la partita è finita.
A parte il fatto che io non saprei nemmeno da dove iniziare per fare una cosa simile, lei l'ha anche trasformata in un bot di telegram.
"Ma io non ho capito una cosa, Matilde. Come faccio a dirgli che la partita è finita? Devo uscire dalla chat?"
"Mamma, quello è un bot, non una chat"
"..."
"Ti può dare l'impressione di scrivergli messaggi, ma sono comandi. È un bot. Non una persona. Esegue ciò che gli dici, non risponde"
"..."
"Dunque, per comunicargli che la partita è finita devi dargli il comando giusto"
"..."
"E te l'avevo spiegato all'inizio"
"Smettila di fare la saccente, adesso"
"Io non faccio la saccente, mamma, ti sto insegnando a usare una funzionalità di telegram che non sai usare bene"

È la fine. Quando sono i figli che cominciano a insegnare ai genitori significa che il culmine del gap generazionale è stato raggiunto. Non ho più scampo.

16/02/18

Il trofeo

C'è un foglietto nella buca delle lettere. E' un avviso del comando dei vigili urbani della circoscrizione di Torino in cui abito adesso. Che vogliono? Ah, ecco. Semplicemente hanno provato a consegnarmi la nuova tessera elettorale.

"La signoria vostra è pregata di venirsela a prendere coi suoi piedi, in tal indirizzo, in questi giorni e a questi orari, e non si dimentichi di portare la vecchia tessera ché dobbiamo ritirarla".

Ora: per un caso fortuito io ho DAVVERO portato a Torino la tessera elettorale che avevo a Bagheria. In realtà mi è stato suggerito da qualcuno che aveva già cambiato residenza anni fa e che, molto più attento e ligio al dovere di me, aveva portato e riconsegnato la sua vecchia tessera in cambio della nuova.
Tuttavia, parlandone con mio fratello, ho deciso che non l'avrei riconsegnata. Perché è una tessera elettorale per "l'Italia insulare", e sarà anche che in questo modo mi riconfermo e consacro definitivamente alla definizione (tanto cara a mia cognata) di "isolanadimmerda", ma no, non la consegno perché se avessi semplicemente fatto quello che avrei fatto io, non l'avrei portata a Torino.

"Buongiorno, mi chiamo Lucy Van Pelt, sono venuta a ritirare la tessera elettorale, ho trovato un avviso nella buca delle lettere qualche giorno fa"
"Certo, me lo dia. Ha portato la vecchia tessera?"
"No, purtroppo non l'ho portata durante il trasferimento"
"Quindi l'ha persa"
"No, non l'ho persa, so esattamente dove si trova, ma è a casa, giù, a Bagheria. Sono 900 km in linea d'aria"
"Diciamo, dunque, che lei l'ha persa"
"Certo. L'ho persa"
"Eccole quella nuova. Buona giornata"
"Grazie, buona giornata a lei".

Comprerò una cornicetta e la vecchia tessere me l'appendo al muro, sopra il mio letto, dove espongo anche la bandiera della Regione Sicilia. Ho mentito a un pubblico ufficiale che mi invitava a dichiarare il falso. E' stata una menzogna al quadrato e ne rappresenta il trofeo.

15/02/18

Così strano

"Ma è davvero così strano che, a un certo punto, uno non senta più il bisogno di fare l'amore?"

No, io non lo trovo strano. Semplicemente a un certo punto si scopre di apprezzare anche altro. E non è certo "pace dei sensi", né astensione totale dall'eros e dal sesso. Banalmente, con le varie esperienze di vita, cambia anche la modalità con cui ci si relaziona all'altro, siamo esseri viventi proprio perché cambiamo continuamente. E secondo me non c'entra nemmeno l'età, né la quantità di amanti che si sono avuti. È la vita, e basta. Capita.

Ciò che mi sorprende, invece, è che proprio *tu* mi faccia questa domanda, in questo contesto, in questo momento. Mi sembra quasi che la vera domanda sia un'altra, così come la mia risposta avrebbe dovuto essere un'altra.

La verità è che ci piace giocare a fare gli adulti, ma in realtà non siamo altro che adolescenti che non hanno ancora capito un ca##o di che cosa vogliono dalla vita, dalle persone, dall'amore e da tutto il resto.

14/02/18

Ora combacia

Localizzo Torino, ma suppongo che tutto questo avvenga anche in altri luoghi non non siano la quasi esclusivamente estiva Palermo: le stagioni si alternano per davvero, esattamente come le abbiamo lette sui libri alle scuole elementari.
Siamo arrivate in autunno e abbiamo visto la natura cambiare colore e poi spogliarsi. Abbiamo visto gli alberi nudi e addormentati. Adesso, nel pieno dell'inverno, succede davvero che spuntino le gemme sui rami spogli.
Non intendo dire che a Bagheria non ci sia un segno naturale dell'alternarsi delle stagioni, però segue il ciclo dei limoni e degli aranci amari, e loro mettono le foglie in estate, fioriscono in autunno, fruttificano in inverno: non combacia.

13/02/18

Come si cambia per non morire (di fame)

Sono stata una bambina schizzinosa nel mangiare. Fondamentalmente erano pochi i cibi che rifiutavo del tutto, però in modo molto integralista. Non mangiavo le cipolle, i piselli, le carote, il grasso della carne, del prosciutto e persino del salame, i canditi, l'uvetta, i formaggi duri e l'aceto.
Fino all'infanzia vera a propria, li rifiutavo categoricamente, li scartavo, il bordo del mio piatto era sempre costellato da pezzettini che non volevo. Spesso i miei genitori si impuntavano, mi costringevano a mangiare e allora, crescendo, ho escogitato mille e uno modi per sputare nel tovagliolo senza che nessuno se ne accorgesse.

Poi ho iniziato l'università, dove pranzavo alla mensa.
Non saprei dire quando è successo la prima volta e per quale ragione mi sia lanciata, ma ho iniziato a mangiare e apprezzare i piselli. Erano semplicemente bolliti, poi io li condivo con un filo d'olio, niente di che, ma da allora ho iniziato a mangiarli. Anche le carote, a un certo punto, sono diventate commestibili, e persino i formaggi duri.
Il problema del grasso l'ho eliminato alla radice, decidendo di non cibarmi più di animali.

Poco a poco, però (e devo ammettere che il cambiamento e coinciso con il vegetarianesimo) ho usato sempre di più le cipolle, e ad oggi, sulla soglia dei 40 anni, mi ritrovo a prepararmi dei pasti interamente a base di cipolle. Le adoro. Mi preparo la pizza solo pomodoro e cipolle. Me le faccio al forno gratinate. Ne metto a tonnellate nella farifrittata.

Ho scoperto di saper fare molto bene la caponata. Ho scoperto che quando pensavo di non farla granché bene era solo perché mettevo pochissimo aceto. Adesso ci metto quello che ci vuole, che è circa il triplo di quanto io ritenevo di saper tollerare, e mi sono accorta che la mia è la caponata migliore della mia famiglia (esclusa quella di mia nonna).

In ordine cronologico, l'ultima scoperta è l'uvetta. Nei dolci non l'ho mai tollerata, ma ho sempre riconosciuto la sua ragione d'essere nelle ricette salate della mia tradizione, accoppiata ai pinoli.
Dopo aver fatto la testa tanta a tutto il mondo, lamentandomi del fatto che a Torino vendono solo la sultanina (mentre nelle pietanze salate siciliane ci vuole la passolina, detta anche "uvetta di Corinto") e dopo aver convinto mia madre a mandarmene una scorta col primo "pacco da giù" in preparazione, ho scoperto che mi piace la sultanina. Ma nei dolci. Ma mi piace proprio. Al punto che mi faccio intere infornate di panbrioche con l'uvetta. E ne vado pazza.

Non si arriva mai, è vero. C'è sempre la possibilità di operare un cambiamento, anche in quegli ambiti e per quei soggetti che si credono categorici.

12/02/18

Il vento

Ringrazio il vento che sabato sera ci ha salutato sulla pista dell'aeroporto di Palermo, portandoci subito l'odore del mare, e che domenica pomeriggio me ne ha regalato l'ultima zaffata proprio mentre salivo la scaletta dell'aereo per tornarmene da sola a Torino.

09/02/18

Quattro punto zero

Ci risiamo.
Ancora un inizio, ancora un percorso, ancora ripetere tutto da capo. Ma stavolta è diverso, stavolta è un impegno senza data di scadenza e con fattura ogni mese.

Ho iniziato un nuovo percorso di psicoterapia. Privatamente e a pagamento.
Senza nulla togliere ai precedenti tre psicoterapeuti, ma io credo di avere ancora molti nodi da sciogliere, molti bocconi da masticare e digerire, molte situazioni irrisolte con cui fare i conti. Non sono sufficienti le risorse gratuite "a pacchetto" passate dal SSN. Qui c'è da lavorare partendo dalle fondamenta.

Buona fortuna a me.

08/02/18

La nanetta

"Mamma, i miei compagni mi chiamano nana"

Ecco. A saperlo nemmeno te lo chiedevo com'era andata la giornata a scuola.

Che Matilde sia bassa è vero. Era già la più bassa della sua classe a Bagheria, figuriamoci nella classe degli spilungoni del nord. Purtroppo i Van Pelt sono alti (io sono sempre stata alta tra le mie coetanee) ma gli Schroeder sono bassi, e nella lotteria dei geni, tutte e due le bambine hanno optato per la statura paterna in favore della bellezza materna.

Ma poi rifletto: quando io andavo in seconda media, i miei compagni hanno iniziato a prendermi in giro per il mio naso. Non passava giornata in cui io non piangessi, o non mi trattenessi dal piangere. Certo, per alcuni versi avevano ragione: il mio naso è orribile, e lo era ancora di più sul viso di una ragazzina, ma loro erano davvero crudeli. Disegnavano alla lavagna la mia caricatura, mi chiamavano con un soprannome che mi offendeva. Da quel che mi dice, i compagni di Matilde si limitano a dirle "nana" ogni tanto, ma al contempo c'è anche qualcuno che invece la definisce "pucciosa".
E poi la più grande differenza è la mamma.

Non voglio che sembri che mi lamento sempre di come i miei genitori hanno svolto il loro compito, ma quando io ho raccontato la stessa cosa, il mio disagio è stato sminuito con un "lasciali perdere", quasi come se il mio dispiacere, il mio senso di offesa e umiliazione fossero esagerati, e finiva che sbagliavo io a prendermela. Non che pretendessi giustizia da parte loro, ma a volte la vera differenza sta nelle parole che si scelgono.

"Tesoro mio, è vero che sei bassina, ma mettila così: quando sarai adulta potrai indossare tranquillamente tutte le scarpe col tacco che vorrai, senza temere di far sfigurare l'uomo che ti starà accanto. Tu lo sai che, ad esempio, persino a piedi scalzi io sono più alta di papà... Ecco, nemmeno al nostro matrimonio ho indossato scarpe col tacco alto, ed è una cosa che mi è sempre dispiaciuta. La mia altezza, che magari qualcuno mi invidia, per me è stata una condanna alla femminilità. E per gli abbracci. Ogni volta che qualcuno mi abbraccia è sempre alla pari, invece... vieni qui, guarda... vedi com'è bello sentirsi avvolta nell'abbraccio di una persona più alta di te? Puoi poggiare la testa sul suo petto e sentirne battere il cuore"
"E' vero, è bello, fa sentire protetti"
"Già"
"Allora, se rimango una nanerottola potrò sfoggiare scarpe coi tacchi"
"Sì"
"E magari mi metto dei tacchi così tanto alti che divento più alta di te e ti posso abbracciare io così"

Io non vedo l'ora.

07/02/18

Pro e contro

Uno dei vantaggi del fare la tata è che puoi mangiarti tutti i biscotti Plasmon vuoi.

Uno degli svantaggi del fare la tata è che, nonostante ti porti una tuta vecchia da indossare solo quando stai in casa coi bambini, c'è sempre il rischio che uno di loro ti inondi con la sua pipì mentre lo porti a rivestirsi dopo il bagno nella prima mezz'ora di lavoro, e non vuoi rischiare altre sorprese coi vestiti che indossi per tornare a casa, quindi ti rassegni ad asciugarti col phon accettando il fatto che puzzerai di pannolino stantio per le restanti 10 ore.

06/02/18

Quattro anni

Era il 2009 quando, ad una mia amica che mi invitava a dedicarmi al mio matrimonio evidentemente in crisi prima di mettere in cantiere un altro figlio, avevo risposto che non lo trovavo prioritario, perché era vero che eravamo in piena crisi, ma ritenevo che fosse altrettanto vero che Schoreder ed io mai avremmo avuto la forza, il coraggio, il desiderio di separarci.
Il cantiere di Angelica era già aperto ma io non lo sapevo ancora.
Quattro anni dopo quello scambio di battute accadde quel che accade, ed oggi sono esattamente quattro anni dalla prima sera in cui Schoreder ha dormito a casa sua.

Esattamente come nel settembre 2009 non immaginavo cosa sarebbe accaduto a dicembre 2013, nel febbraio 2014 non avrei mai e poi mai immaginato cosa sarei riuscita a fare, demolire, reinventare, costruire nel febbraio 2018.

Quattro anni. Un'edizione di mondiali di calcio. Inezie.
Eppure quanto è cambiata la mia vita, e quanto sono cambiata io.

Appuntamento al 2022, a questo punto, per scoprire cos'altro sono stata capace di inventarmi.

05/02/18

Nostalgia ricotta

Camminavo tranquilla lungo il mercato vicino casa. È un mercato ben fornito di generi alimentari, ma anche di casalinghi, abbigliamento, accessori vari e persino un banco di merceria, ma quest'ultimo argomento merita un post a parte.
Camminavo dentro il mercato, dicevo, ma generalmente vado "a colpo sicuro" dai bancarellari che ormai conosco: due o tre fruttivendoli, una signora che vende radici e tuberi, il giovanotto aitante che vende semi e frutta secca. Difficilmente dedico più di un'occhiata distratta ai banchi della carne, del pesce e dei formaggi, ma questa volta è stata una scritta ad attirare la mia attenzione, una scritta che, per me, è come il canto delle sirene: "ricotta di pecora".

Senza dilungarmi su dettagli tecnici, la ricotta siciliana è di pecora, ed è per questo che è differente dalle altre e che viene cosi buona la crema di ricotta. Chi non abbia mai assaggiato la ricotta di pecora di un caseificio siciliano non potrà mai capire la differenza. E il significato. Il significato di quella scritta e l'effetto che ha sortito su di me.
Perché tempo addietro io ho cercato la ricotta di pecora a Torino, ma non aveva nulla a che vedere con quella siciliana.

Mi sono avvicinata al banco, ho chiesto e no, proprio quel giorno l'avevano finita.
Volevano rifilarmi la ricotta di capra, che è molto delicata e dolce, la provi signora mia. Non la provo no, ho già avuto troppe delusioni dalla ricotta comprata oltre lo stretto, non la voglio neanche assaggiare.

Mentre tornavo a casa, però, avevo il magone. Non so dire se per la delusione, per l'aspettativa disillusa, o se per la nostalgia.
Sabato farò una rapidissima capatina a Palermo, meno di 24 ore, ma ho già chiesto a chi mi ospiterà di farmi trovare un po' di ricotta per cena.

03/02/18

Conti senza l'oste, ossia fare programmi senza considerare i figli

Lavoro con bambini 10 ore e 30 minuti al giorno, il lunedì, il martedì e il mercoledì.
Il giovedì faccio la spesa e le pulizie, pianifico, preparo e - se serve - surgelo le colazioni, i pranzi e le cene per la settimana successiva, nel pomeriggio lascio che le mie figlie invitino le amiche a casa.
Il sabato e la domenica se ne vanno tra compiti e attività familiari, uscite, passeggiate, eventi, mostre ecc. insieme alle ragazze.

Il venerdì è mio. Il venerdì è solo mio.
Il massimo che devo fare è accompagnare Angelica a scuola, alle 8.30 e andarla a riprendere alle 16.30.
In mezzo può esserci un mondo, un universo intero fatto di passeggiate in solitaria per le strade dello shopping torinese, o l'intera mattinata passata seduta sul letto a fissare il muro vuoto di fronte.
Il venerdì è mio, non si tocca.

E a maggior ragione quando coincide con un rarissimo giorno di ferie dell'Amico Nerd.

Fantasticheria: accompagno Angelica, tornando a casa passo rapidamente al supermercato a comprare lo zucchero che ieri ho dimenticato, mi assicuro che l'Amico Nerd sia sveglio, lucido e vestito, e gli propongo di fare cose da adulti: mi faccio portare a fare colazione in un bel bar e mi concedo un dolce, uno di quelli buonissimi che mi fanno schizzare la glicemia a tremila, ce ne stiamo lì, rilassati, seduti al tavolo a chiacchierare di cose adulte, senza preoccuparmi che qualcuno possa versarsi la cioccolata addosso, poi ci facciamo una passeggiata da adulti per le strade commerciali del nostro quartiere, soffermandoci sulle vetrine in maniera da adulti, senza tenere d'occhio chi va avanti, si annoia o si sofferma a guardare i pigiami da unicorno, dopo entriamo in una libreria guardando con calma i titoli che ci interessano, restando tutto il tempo che vogliamo nel reparto dei libri da adulti, senza avere sempre gli occhi su dove sono le ragazze e finendo sempre per farci anche noi una cultura sui libri del battello a vapore, infine torniamo a casa, prepariamo il pranzo, aspettiamo che Matilde torni da scuola, e basta. Un venerdì non solo mio, ma anche nostro. Un venerdì da adulti.

Realtà: sms all'Amico Nerd alle 7.45: "Angelica si è svegliata con la febbre".

01/02/18

Maschi o femmine?

"Ciao ragazza"
"Ciao. Mi dai, per favore due chili di mandarini?"
"Certo ragazza"
"E anche un po' di kiwi"
"Serve altro ragazza?"
"Si, dammi anche due finocchi"
"Maschio o femmina?"

Sbalordisco.
Non capisco se il mio solito fruttivendolo egiziano del mercato mi sta prendendo in giro. Se sta cercando di fare una battuta. Se devo offendermi oppure se devo rispondere.

"Non ho capito"
"Finocchi, vuoi maschio o femmina"
"Che differenza c'è?"

Anche se, in realtà, la vera domanda che vorrei fargli è "Ma esistono davvero?"
E invece la differenza c'è, e lui me la spiega, e domandandomi in che modo io mangerò quei finocchi, ossia in insalata, mi suggerisce di prenderli maschi. Se volessi cucinarli al forno sarebbero migliori le femmine.

Ma ti pare che devo arrivare alla soglia dei 40 anni, nata e cresciuta in un territorio dove i finocchi sono tra le ultime residue coltivazioni ancora portate avanti, e farmi spiegare dal fruttivendolo egiziano di Torino che esistono finocchi maschi e femmine?