28/03/18

Il momento tanto temuto

"Matilde che hai sul mento?"
"Il burro di karité"
"Ma perché hai messo il burro di karité sul mento? E così tanto, poi?"
"Perché ho una cosa piccola che mi fa male. Penso che sia l'irritazione del labbro che si sta espandendo"
"Fammi vedere. No, tesoro, non c'entra niente con l'irritazione del labbro, anche perché è a un chilometro. È un brufolo"
"Ah"
"Già. E il burro di karité non serve a nulla"
"E cosa può essere d'aiuto, quindi?"
"Niente. Non si tocca, e si aspetta che passi"

Il momento tanto temuto sta per arrivare. Festeggiamo il primo brufolo di Matilde con una conversazione rilassata sulla gestione dell'acne, sull'uso degli assorbenti, sul galateo della sindrome premestruale, con qualche domanda indagatoria su eventuali peli spuntati in zone nascoste alle quali io non ho più accesso da anni.

Mia figlia sta entrando nell'adolescenza. Ne uscirà viva, senz'altro, ma io forse no.

27/03/18

Emigrata

C'è uno strano fenomeno che mi capita da un paio di settimane.
Soprattutto, ma non soltanto, quando sono al lavoro ed ho un momento di pausa, se provo a chiudere gli occhi mi appaiono le immagini di casa mia, ma quella vera. Dietro le palpebre chiuse vedo il panorama da Monte Catalfano, quando ci si affaccia verso ovest e si domina tutto il golfo di Palermo, da Aspra a Monte Pellegrino. Vedo i colori delle piastrelle della mia cucina in muratura, che sono state tutte fatte a mano da una cara amica. Vedo il campanile della chiesa vicina. Vedo gli occhi azzurri del fruttivendolo che sta di fronte quella che era scuola di Matilde e poi di Angelica. I rami fioriti dei mandorli lungo l'autostrada Palermo-Catania. Lo strapiombo di Capo Gallo dalla parte di Sferracavallo, sulla strada verso l'aeroporto.
Vedo tutto questo. E piango. Piango, piango fino a svuotarmi, che per fortuna i rari momenti di pausa che ho al lavoro coincidono col sonno dei due bambini. Piango, piango fino a ridurmi senza forze.
Non lo sopporto.
Perché in realtà me ne servirebbero in più,  di forze, mentre invece mi ritrovo a consumarle con queste cazzate da emigrata.

26/03/18

Del 15-18

"Mamma ti faccio vedere una filastrocca che ho imparato a scuola. Si balla con le mani. Ero in bottega, ticchettà..."
"Uh! A rubacchiare, ticchettà... Ma questa la cantavo pure io a scuola! Che bellezza, sono ancora in voga le filastrocche del 15-18!"
"..."
"..."
"Mamma, ma quando tu dici che le cose sono del 15-18, che cosa significa?!"

Ecco. Un attimo prima ti senti ancora sul pezzo, ché sai cantare e ballare le filastrocche che cantano e ballano i classe 2010, e un attimo dopo ti senti Matusalemme in persona, che usi modi di dire antiquati e demodè, e ti tocca pure spiegarli, che nonostante tu sia del 78, ti senti un po' del 15-18 pure tu.

23/03/18

Faccio bene il mio lavoro

Mi chiama nel tardo pomeriggio, quando sono appena rincasata da un colloquio di lavoro supplementare dall'altro capo della città. 
"Lucy, ti disturbo?"
Prendendo esempio da Verdone rispondo che no, non mi disturba affatto. È il padre dei bambini che accudisco, è il mio datore di lavoro, quello che mi paga lo stipendio, quello che decide se e quando io farò le ferie. No, non mi disturba mai.
"So che domani hai il giorno libero, ma siccome vorremmo andare all'ikea e stare tranquilli, per caso potresti venire qui a casa e stare coi bambini?"
Potrei forse rifiutarmi? No, non posso. È lavoro. È retribuito. È pane.

E così vado. Trovo la mamma dei bambini che aspettava me per uscire, e i due bambini non sapevano e non si aspettavano il mio arrivo. Va bene che hanno 17 mesi, ma sono solo bambini, mica sono scemi, e dopo 7 mesi di una certa consuetudine, se intercorre un cambiamento se ne accorgono. E se ne lamentano.
La madre esce e il maschietto si profonde in una delle scene isteriche meglio scritte e orchestrate per voce e pugni (alla porta, al pavimento, alla tata). Inconsolabile. La sorella lo guarda disgustata per la rozzezza dei suoi modi, suppongo. Non se lo fila di striscio, probabilmente rassegnata alle magre figure che le fa fare questo fratello collerico. Lei sta tranquilla, mi guarda, fa spallucce, mi fa una carezza, si prende il ciuccio e si addormenta.
Lui insiste per minuti e minuti nella sua scena isterica. Non ci provo nemmeno piu ad avvicinarmi perché ho già rimediato un graffio e non penso di essere pagata abbastanza per lasciarmi anche straziare il fisico.
Gli parlo a voce bassa, lo invito ad avvicinarsi, gli chiedo di stare vicino a me e di accoccolarci. Lui è furibondo. Si avvicina e si allontana, rimproverandosi per essersi lasciato sedurre da me e dalle mie promesse. Va avanti per minuti e minuti. Io resto immobile, mi siedo a gambe incrociate in quella posizione che lui predilige per accoccolarmisi addosso. Fa avanti e indietro una decina di volte, poi si arrende.
Si distende sulle mie gambe e, con gli ultimi residui di pianto, mi spiega che è arrabbiato e offeso per quest'inganno, perché non stava nei patti, il giovedì e il venerdì loro hanno le assolute attenzioni della mamma, io ne sono solo un volgare surrogato che possono tollerare solo per tre giorni a settimana, e il venerdì che io me ne stia per i fatti miei, o a interpretare il surrogato di mamma da qualche altra parte.
"Lo so, tesoro mio, lo so che sei arrabbiato", gli dico accarezzandogli la testa, "ma la vita va per i fatti suoi, ed è difficile a tutte le età".
Si calma, borbotta ancora un po' il suo disappunto, poi mi prende la mano e si addormenta.

Ecco, è in momenti come questi che odio il mio lavoro.
È in momenti come questi che so che lo faccio bene.

22/03/18

Soli, d'inverno, è cosa da morire

"E' un peccato, un grande spreco, un tempismo sbagliato. 
Mi hai lasciato a fine inverno, quando eravamo già usciti dai giorni più gelidi, dalle notti di neve, dai cieli più grigi. Mi hai lasciato proprio quando avevo imparato a riscaldarti le mani, avevo imparato a dosare nella giusta proporzione l'acqua e le erbe per la tisana della sera, avevo imparato a cogliere il momento giusto per andarmene e lasciarti dormire. 
E' un peccato non poterti affrontare in primavera, non poter imparare altro su di te. Non saprò mai arginare la tua energia che si risveglia; non potrò scoprire se il sole di Torino ti riscalda adeguatamente, o se anche qui il polline ti da allergia.
E' un grande spreco poterti guardare distrattamente mentre ti vesti più leggera. Ho assistito al declino dall'autunno all'inverno, mentre ti coprivi sempre di più, maglia su maglia, lana su cotone, trasformandoti nella più affascinante delle befane fuori stagione, che per arrivare a sfiorarti la pelle mi sembrava di non arrivare mai, e anche quando credevo di essere giunto c'era ancora una maglietta a difenderti. Adesso ti vedo: finalmente non copri più il collo, e trovo che sia un grande spreco il fatto che ormai sia così a portata di baci, ed io non abbia più il permesso per farlo.
E' un tempismo sbagliato, il nostro, devo proprio dirtelo. Mi hai preso quando non ero ancora pronto a darmi, né tu eri pronta a ricevere. La vita ci ha fatti un po' strani e ingarbugliati, lo ammetterai. Siamo stati le persone sbagliate, l'uno per l'altra e viceversa, compresa l'ostinazione con cui abbiamo insistito e tenuto duro per mesi e mesi. Eravamo sbagliati, ma non volevamo ammetterlo. Ci siamo amati in modo sbagliato, con aspettative sbagliate, nei tempi sbagliati. E mi hai lasciato, persino, nel tempo sbagliato. Hai scelto la fine dell'inverno, hai scelto la primavera. Mi hai concesso di te il periodo peggiore; mi stai negando quello migliore.
Che tempismo sbagliato. Che spreco. Che peccato."

"Soli, d'inverno, è cosa da morire!", cantano Mimì e Rodolfo sul finire del terzo atto della Bohème di Giacomo Puccini, "Mentre a primavera c'è compagno il sol".
Certo, alla fine lei muore, va bene, non è esattamente un buon auspicio, ma l'analogia mi ha colpito.

***Disclaimer: non ho mai ricevuto questa lettera, né ho mai ascoltato queste parole. Non faccio scempio dei sentimenti e della privacy altrui con tale mancanza di rispetto. E' frutto di una fugace riflessione MIA odierna, mentre guardavo il mio riflesso sullo specchio del bagno che pulivo. Ma anche il fatto che queste parole io le abbia solo immaginate (desiderate?) accentua ancora di più il senso di peccato, spreco e tempismo sbagliato.***

21/03/18

La calcolatrice è la mia migliore amica

Arrivata ai 3/4 del mese, faccio sempre i conti preventivi per il mese successivo, comparando le entrate certe e le uscite già programmate.
Quando faccio questi calcoli ad occhio, mi butto sempre per eccesso, arrotondo malamente, magari calcolo due volte il riporto e sfioro il panico. Non ce la farò.
Poi prendo la calcolatrice e rifaccio il conto con le cifre effettive, e finora è andata sempre che neanche stavolta moriremo di fame, né rischieremo lo sfratto.
In pratica, evito l'infarto solo per merito della calcolatrice che riesce a sopperire le mie lacune aritmetiche.

20/03/18

Punti di vista

"E così tu vieni dalla Sicilia"
"Sì, mi sono trasferita lo scorso settembre"
"E come ti trovi qui? Ti piace?"
"Sì, mi trovo benissimo. A parte il clima, che fa schifo, è tutto un altro mondo"
"Anche io sono stata via, alcuni anni fa. Mi ero trasferita alle Canarie. Ho resistito due anni, poi non ce l'ho fatta più e sono tornata a Brescia"
"La tua storia è ancora peggio della mia. Io ho lasciato la Sicilia per Torino, ma tu... Ti eri trasferita alle Canarie e sei rientrata a Brescia?!"
"Sì, mi mancava il verde, gli alberi, il bosco. Lì a Gran Canaria era tutto secco, solo mare, sabbia, deserto... E poi faceva sempre caldo, ed io avevo nostalgia dei paesaggi innevati, delle valli, dell'odore del bosco"

Quanto possono essere diversi i punti di vista dei singoli individui.

19/03/18

La mia ultima bislaccheria

Ultima solo in ordine cronologico, ovviamente: chi mi conosce sa che mi tufferò nelle bislaccherie più bislacche finché avrò aria nei polmoni.
Quella attuale, dunque, si chiama "Corso di formazione per insegnanti Balyayoga", che altro non è se non il metodo di yoga per bambini che per tanti anni hanno praticato le mie figlie.

Tutto è cominciato lo scorso ottobre, quando ho cercato un'insegnante di yoga per bambini qui a Torino. Vicino casa il niente, tranne una psicologa che aveva fatto la formazione ma che attivava solo un corso da 10 incontri annui. Tutto il resto o si svolgeva a chilometri di distanza da casa, o in giorni e orari incompatibili con i miei, o entrambi insieme.
Durante uno dei fugaci ritorni in Sicilia ne ho parlato con la nostra maestra di yoga e lei mi ha detto: "Perché non ti formi tu?"
Mentre sciorinava le motivazioni inconfutabili per cui sarebbe stata una buona idea, dalla mia attitudine coi bambini, l'esperienza di pratica yoga, nonché la necessità di trovare una "strada", io mi sono sentita crescere sempre di più l'entusiasmo, e siccome sono una persona pratica e concreta, non ho perso tempo ed ho contattato immediatamente il suo formatore per chiedere informazioni sul corso a Torino. Era novembre, il corso sarebbe iniziato a marzo, ma mi sono subito iscritta.

Per 5 fine settimana tornerò a scuola, a prendere appunti, concentrarmi, memorizzare, apprendere, studiare, esercitarmi e, infine, sostenere l'esame.
Sono 15 anni che non sostengo un esame e la strizza ce l'ho già adesso.

Non so ancora cosa mi porterà, ma insieme ad una stanchezza epocale, il primo fine settimana mi ha riempito di energia creativa, divertimento, socialità, desiderio di rimettermi in gioco per dire che anche sull'orlo dei quarant'anni c'è ancora una possibilità: *io* ho ancora una possibilità, e forse anche più di una.

"Mamma, ma poi quando sarai insegnante di Balyayoga noi due possiamo farti da assistenti?"
Ecco. Scoprire che anche per loro va bene, nonostante significhi rinunciare a del tempo libero da trascorrere insieme nei prossimi mesi, mi incoraggia ancora di più.

16/03/18

Parole

Tempo fa, parlando con un amico in linea generale degli obiettivi di un percorso di psicoterapia, gli ho detto che il lavoro dello psicoterapeuta non è dare consigli o suggerire strategie di comportamento, né lasciare semplicemente che il paziente si sfoghi. Lo psicoterapeuta ti aiuta a trovare le parole adatte a definire ciascuno stato d'animo, pensiero, emozione o sentimento che vivi. E - grande magia - a scoprire che effetto ti fa quella parola, pronunciata ad alta voce, in quel momento, in quel luogo e per descrivere e definire quello che stai provando.

In queste prime sedute di psicoterapia ho già trovato due parole che hanno avuto in me un effetto forte:
- Nemico. Mentre raccontavo delle storie più o meno stabili, lunghe, durature e coinvolgenti che ho avuto dopo la fine del mio matrimonio (che hanno seguito un corso all'apparenza diverso tra loro mentre, ad un'analisi più accurata, ho notato che seguivano tutte lo stesso schema), la parola che mi è risuonata in mente parlandone è stata "nemico". La dottoressa mi ha fatto notare che, generalmente, il termine che si usa per definire un uomo con cui si ha una relazione è "compagno". 1-0 per lei e palla al centro.

- Dipendenza. Parlando delle ultime settimane trascorse dopo la fine della relazione con l'Amico Nerd, ho raccontato di alcuni aspetti pratici che abbiamo dovuto concordare e che riguardano le mie "dipendenze" nei suoi riguardi. La dottoressa mi ha chiesto perché parlassi proprio di "dipendenze", dato che sembravano più semplicemente "legami". 2-0 per lei, fine primo tempo.

Adesso mi ritrovo mesta negli spogliatoi, a riflettere e interrogarmi, in attesa di tornare in campo. Non ho speranza di rimontare, subirò una sconfitta, ma forse riuscirò a rifarmi alla giornata di ritorno.

15/03/18

La lingua natìa

Ammetto che la probabilità di imbattersi in un siciliano a Torino è molto alta, ma la verità è che io adesso li riconosco non appena li sento parlare.
Se penso che per 39 anni ho vissuto immersa in quel modo di parlare, in quelle intonazioni, in quelle espressioni, al punto che per me erano la norma, e riconoscevo come "straniero" chi parlava in modo diverso, adesso è l'opposto. Adesso quando ascolto le conversazioni di chi viaggia insieme a me sui mezzi pubblici, riconosco come "stranieri", se pur familiari, quei modi di esprimersi e parlare. E non mi riferisco al dialetto, ma proprio al modo di pronunciare le parole italiane. Se poi viene usato un termine dialettale, per me è solo la conferma.
Sto raffinando l'orecchio, sto educando la lingua, ma se i bambini che accudisco impareranno a dire RRROsso sarà solo colpa mia :-D

14/03/18

Lo spiegone

Bene, dopo aver ricevuto alcuni messaggi allarmati riguardo la "notizia" che ho dato lunedì, diventa d'obbligo qualche spiegazione.
Prima di tutto vi tranquillizzo: non sono disperata, depressa, mezza morta, sull'orlo della tragedia ecc. Mi dispiace che a qualcuno il senso del post sia sembrato quello: non lo era; non lo sono.
Triste, certo. Delusa, naturalmente. Confusa, chiaramente. Ma no, disperata no.

Va bene, la cazzata l'ho fatta, ma è stata una cazzata sana, rigenerante, di rinnovamento e rinascita. In un momento in cui, sì, ero molto vicina alla morte-dentro, ho scoperto che ero ancora capace di emozionarmi, di mettermi in gioco, di sognare. Che il mio cuore funzionava ancora (e anche certe altre parti del corpo che non sto a specificare). È stato bello e importante.
È stato importante anche per la mia decisione di andarmene da quel caos mediocre nel quale vivevo con le mie figlie. Non è stata la ragione principale per cui mi sono trasferita a Torino, ma ne è stato certamente un motore, un supporto e un sostegno anche concreto. Paradossalmente, però, proprio il trasferimento ne ha decretato la fine.
Ciò che prima si presentava come una bolla di serenità nella quale rifugiarmi una volta al mese, si è inserito nel mio normale quotidiano contesto, fatto di acrobazie e salti mortali tra lavoro, cura delle mie figlie, cura della casa, scuola, compiti, ansia, bollette, paura di non farcela ecc ecc.
È stato troppo. La bolla è diventata una zavorra.

La benedizione, dunque, è il rendermi conto che non era quello che volevo.

A dire il vero, non lo so nemmeno cosa io voglio, ma so cosa NON voglio, dunque va bene così.

La cazzata è stata una cazzata, certo. Mi ero illusa di poter tornare a vivere in modo spensierato e fresco, ma non è così. La mia vita, la mia quotidianità non me lo permettono. 
E in realtà non me lo permetto nemmeno io. 
Ecco il perché di quel termine: "cazzata". Perché al mio stato attuale non sarò mai in grado di innamorarmi di nuovo di qualcuno.

E fa male, e non soltanto a me.
Anche un'altra persona sta vivendo, in questi giorni, il mio stesso senso di spaesamento, delusione, sconfitta.
Potrò sembrare ulteriormente esagerata (proprio il termine "esagerazione" è stato usato in un messaggio privato per commentare il post di lunedì), ma col senno del poi mi viene da interrogarmi sul perché, in questo blog, io abbia definito sempre e soltanto con la parola "amico" questo ragazzo. Forse perché la mia psicologa ha ragione. Voglio un uomo che si prenda cura di me, ma quando un uomo ne manifesta l'intenzione, io lo lascio.

Io una spiegazione a questa cosa l'ho trovata, e l'ho anche espressa a voce alta durante una seduta, ma non sono ancora pronta a scriverla qui. E poi, se vi dicessi tutto subito, toglierei la suspence e smettereste di seguirmi e preoccuparvi in privato per me ;-)

13/03/18

Il segnale

Non è soltanto la temperatura che è aumentata.
Non è soltanto che fa buio già più tardi nonostante non abbiamo ancora cambiato l'ora.
Non è soltanto la veste rinnovata delle vetrine dei negozi.

È che, se ti trovi a camminare all'interno di uno tra i più cittadini dei parchi di Torino e, nonostante i palazzoni tutto intorno e le strade extraurbane che lo circondano, vieni sorpassata da una farfalla gialla e svolazzante, non solo ti viene da pensare che c'è speranza sempre, per tutti e in ogni luogo, ma ti viene anche da sorridere al primo segnale di una tanto attesa primavera che sta per arrivare.

12/03/18

La cazzata e la benedizione

La cazzata è stata illudermi di potermi innamorare di nuovo in vita mia.

La benedizione è la presa di coscienza di questa e di altre cazzate fatte.

09/03/18

Costantino

"Bene, signora, mi detti pure il codice fiscale di sua figlia"
Glielo detto.
"Ma che brava!"
Mi chiedo se stia parlando di me e del mio modo di dettargli il codice fiscale di Angelica.
"Sua figlia è molto intelligente!"
Annuisco e confermo.
"Sa da dove l'ho capito? Dall'ultima lettera del codice fiscale"
"Ah. Suppongo che sia la stessa con il quale finisce il suo..."
Ride.
"E così dimostro di essere molto intelligente anche io"
"Giusto! Dunque sappiamo da chi Angelica ha ereditato l'intelligenza!"

Il nostro nuovo medico di base a Torino è una specie di simpatico mattacchione mezzosangue. Al di là del cognome, per me è evidente che abbia ascendenze al sud, perché un tale carattere istrionico negli autoctoni non l'ho mai riscontrato. Però sembra bravo e accurato, ha lo studio sempre pieno nonostante nella stessa strada ci siano altri due medici di base, dunque potrebbe anche essere molto attento e competente.
Però è un folle.
Ma mi piace, ed è stato fantastico anche con Angelica, dunque va bene.

08/03/18

Per evitare di litigare

"Mamma possiamo fare merenda?"
"Certo. In che modo?"
"Lo sappiamo che dobbiamo risparmiare, ma solo per oggi possiamo comprare qualcosa al panificio?"
"Va bene. Ecco 5 euro. Andate voi e sceglietevi la merenda. Però non spendeteli tutti"

...

"Eccoci, abbiamo comprato delle pizzette e ne abbiamo prese anche per te"
"Oh, grazie! E quanto avete speso?"
"2,50"
"Ottimo. E il resto?"
"Sai, ci abbiamo riflettuto mentre tornavamo. Siccome la signora ci ha dato due monete da 1 euro ed una da 50 centesimi, per evitare di litigare, noi ci prendiamo un euro ciascuna e tu ti prendi i 50 centesimi"

E mi è finita così.

07/03/18

L'albero

Al parco della Tesoriera, a Torino, c'è questo albero. L'ho osservato spesso, col susseguirsi delle stagioni, e mi ha sempre colpito il suo tono dismesso, abbattuto, la sua postura da chi assiste al crollo del proprio mondo. Sa di trasandato, di chi smette di prendersi cura di sé perché non ne vale più la pena, o perché non ne ha le forze.


Povero albero, come ti capisco...

06/03/18

Luce che accarezza

Non che sia la panacea di tutti i mali, ma uscire dal lavoro sempre alla stessa ora e notare che il cielo è ancora illuminato, ecco, sì, è un po' una specie di carezza sull'umore.

05/03/18

La piccola grande

Vuole vestirsi da grande. Indossa i collant neri, un abito che le marca il vitino sottile, gli stivaletti che le evidenziano il lato B a mandolino, che è sicura fonte di invidia da parte delle compagne di scuola secche e spilungone. Mi chiede se può mettersi un po' di mascara sulle ciglia e un lucidalabbra. Rispondo di sì, perché tanto non si vedrà neanche: lei ha gli occhi grandi di natura, e le labbra che sembravano dipinte già quando era neonata.
Usciamo. Andiamo a una festa. La vedo che si atteggia, vuole fare la grande ad una festa da grandi.
Poi però tra gli invitati c'è anche un'altra bambina, a parte Angelica. Ormai sa ignorare molto bene sua sorella e sa comportarsi da adulta col cuginetto di un anno, ma il richiamo della piccola sconosciuta è troppo forte, e lei non è capace di non socializzare.
Dopo nemmeno mezz'ora di festa da grandi, Matilde sta a terra, con l'abito, i collant e gli stivaletti, a colorare su fogli di carta, giocare e ridere, usando la gonna per pulire gli occhiali fregandosene dello spettacolo delle sue mutande, e con il mascara stropicciato perché non sapeva che non doveva toccarsi gli occhi.

Dodici anni. A volte pochi, a volte troppi. Per me sono giusti. La adoro quando la sua spontanea immaturità vince sulle velleità emulatorie.

02/03/18

Sei mesi fa

Sei mesi fa andavamo al porto di Palermo, salivamo su una nave diretta a Genova e percorrevamo la strada per arrivare a Torino.
Sei mesi fa accoglievamo la sfida di prendere baracca e burattini e ricominciare da zero in una città nuova, in una casa nuova, in un contesto nuovo.
Sei mesi fa piangevo di continuo, di nascosto, per la paura di non farcela e per quella, ancora peggiore, di fare del male alle mie figlie.

È passato mezzo anno e siamo ancora vive.
È passato mezzo anno ed io ho un lavoro che mi impegna molto, ma che mi permette di farcela.
È passato mezzo anno ed entrambe le mie figlie danno risultati ottimi a scuola, sono ben integrate coi compagni e stanno scoprendo un modo di vivere che non avrebbero potuto conoscere a Bagheria.

Tutto sommato non è male, dai.

01/03/18

Cose che sto imparando sull'inverno

1) Io non so guidare sulla neve e la mia macchina non è adeguatamente equipaggiata.
Useremo i piedi e i mezzi pubblici fino a quando non monterò le gomme invernali.

2) Quando le temperature scendono sotto lo zero, l'acqua diventa ghiaccio, esattamente come abbiamo studiato sui libri ma mai visto dal vivo in natura.
Non avrei mai immaginato di dover riporre in frigo, per farle scongelare, le arance che tengo in balcone; passare da -4° a +4° sono comunque 8 gradi di escursione termica.

3) I ragazzi all'uscita da scuola fanno la battaglia di palle di neve.
Non più tra i capelli, dunque, in cerca di parassiti, bensì nel cappuccio e tra le pieghe del giubbotto bisogna controllare che non vi sia neve residua che, inevitabilmente, cadrà sul pavimento dentro casa.

(Insegnamento bonus: quando al mattino manderai agli amici di Palermo la fotografia del tuo balcone innevato ci sara sempre il Gandalf di turno che ti risponderà con l'immagine del termometro della sua auto che segna +18°. Mannaggia allo scirocco)