di Rachel Joyce
E' la stessa autrice di "Harold Fry", quel romanzo spettacolare che mi ha fatto piangere di emozione, come pochissimi altri libri sono stati capaci di fare.
Ecco, come diceva Caparezza diversi anni fa, "il secondo album è quello più difficile nella carriera di un artista". Vale lo stesso anche coi libri, suppongo.
Questo secondo romanzo della Joyce non vale che un terzo rispetto al primo.
Ho pianto, ho pianto per tutte le ultime 30 pagine, ma non è stato un pianto culmine di tensione emozionale, come nel primo caso, è stato un pianto per una certa situazione che mi risuona particolarmente e che probabilmente non farebbe piangere chiunque.
No. Non m'è piaciuto. L'ho finito solo per curiosità di sapere come andava a finire, ma durante la lettura non mi sono appassionata più di tanto. Più volte avevo pensato di mollarlo, ma poi mi sono convinta a continuare.
Peccato.
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