Premessa: non ce l'ho coi miei genitori (non più), ma solo perché sono passati molti anni e tre differenti percorsi di psicoterapia che mi hanno aiutato a "masticare e digerire" la mia vita in gioventù.
Da figlia, ho sentito più spesso rivolgermi critiche e rimproveri che lodi e segni di stima. Tutt'ora è così (checché possa sembrare a chi conosce superficialmente me e la mia famiglia di origine): mia madre mi tratta ancora come un'inetta, con l'unica differenza che adesso io le rispondo, lei va sulla difensiva, io m'incazzo, lei si offende, litighiamo e mi tiene il broncio. Storia ormai vista.
Grazie ai percorsi seguiti sono finalmente riuscita a lasciarmi scivolare addosso le liti con mia madre, non sono più capace di assorbire e basta, esprimo il mio parere, magari anche in modo forte, talvolta, lo ammetto, ma non sto più zitta e basta, ché non sono più un'adolescente disadattata.
Per queste e altre ragioni, mi sono sempre ripromessa che mai, MAI, avrei usato parole offensive con le mie figlie. Mai, nemmeno per sbaglio, le ho apostrofate etichettandole con "Monella!", o "Stupida!" a seconda dell'età.
Perché mia madre mi diceva spesso che ero stupida, e mio padre mi minacciava di prendermi una maestra privata di sostegno, e - capirete - sono cose che segnano, e magari loro lo facevano con buone intenzioni educative, o nell'idea che offendendomi mi sarei sentita spronata.
No. Ero etichettata, e con quell'etichetta ho finito per costruirmi addosso il mio vestito, e credere che fosse davvero così.
Questo è uno dei più pesanti motivi del fallimento della mia vita, da un punto di vista scolastico, lavorativo, professionale ecc. La disistima mostratami dai miei genitori è diventata la mia scarsa autostima. Da lì a ridurmi a fare la moglie e mamma è stato tutto in discesa.
Dunque mai, MAI, parole etichettatrici con le mie figlie. Neanche in positivo, eh? Neanche "Brava!". Perché tu sei quello che sei, non sei quello che sai o non sai fare. Quando portano bei voti dico loro "Complimenti, sono fiera di te" o cose del genere. Quando si comportano male dico loro "Hai fatto una cosa sbagliata", cioè, è il comportamento ad essere etichettato, non loro in quanto persone.
Va beh. Questo excursus sul mio stile educativo doveva essere breve, ma si sta dilungando. Vado a dunque.
Da tre settimane Matilde frequenta un corso di informatica che si svolge nella succursale della sua scuola media, in orario immediatamente extra scolastico. Nel concreto lei deve uscire da scuola al consueto orario, andare in succursale, pranzare alla mensa della succursale, frequentare il corso, tornare a casa. La succursale è un po' più lontana da casa, ma dell'ordine di altri 500 mt, e comunque il percorso è abbastanza lineare, a forma di L, e con svariati punti di riferimento lungo il tragitto, un ospedale e un grande ipermercato, che rendono la strada ben trafficata e popolata.
Mentre io sono al lavoro, con uno dei due bambini che si sta addormentando e l'altro che aveva appena sporcato il pannolino, mi squilla il telefono.
E' Matilde che mi avvisa che ha finito il corso e si sta avviando verso casa. Perfetto, benissimo, ci vediamo più tardi, quando Angelica torna da scuola fate merenda, a dopo, ciao. Dopo appena 5 minuti mi telefona di nuovo.
"Mamma"
"Che succede?"
"Non so dove mi trovo"
Ora, io ho un bambino di 13 mesi che dorme e l'altra che si dimena sul fasciatoio perché vuole ravanare dentro le sue pieghe mentre io cerco di metterle il pannolino pulito. Non è esattamente il genere di comunicazione che avrei mai sperato che mi arrivasse.
"Stai tranquilla. Non puoi esserti allontanata di molto. Cosa vedi intorno a te? Riesci a leggere il nome di qualche strada?"
"Sì, sono sulla strada principale ma non riconosco questi palazzi"
"Allora torna indietro, ripercorri esattamente la stessa strada che hai fatto, sullo stesso marciapiede, vedrai che prima o poi troverai un punto di riferimento che già conosci"
E così ha fatto. In pratica invece di girare all'angolo della L ha proseguito dritto, continuando a percorrere la strada col nome giusto ma perdendosi l'incrocio cardine.
Una volta chiusa la telefonata io sono esplosa in un pianto a dirotto che quasi quasi la bambina mi prestava il suo ciuccio per consolarmi. Ho vissuto due minuti di panico perché non potevo allontanarmi e raggiungerla, e lì porcoca##o mi è crollato addosso tutto il peso di essere una mamma sola e lavoratrice.
Arrivata a casa mi sono complimentata con lei per come ha saputo gestire l'inconveniente, le ho detto che ha fatto proprio la cosa migliore, si è fermata e mi ha telefonato, poi è tornata indietro fino a quando non si è nuovamente raccapezzata e allora è arrivata a casa, ma niente, l'unica cosa che lei è stata capace di notare è stato lo sbaglio, il fatto di essersi persa.
"Ti sei persa, ma poi ti sei ritrovata! Non ti sei né scoraggiata, né messa a piangere o che so io! Hai avuto un problema e l'hai risolto"
Niente, non è riuscita a cogliere la sua bravura, la sua capacità, e persiste ancora a buttarsi giù, a dire di sé che non sa fare niente e altre amenità.
Mia madre, in una situazione analoga, avrebbe detto: "Resta ferma dove sei che ora viene papà a prenderti" e non mi avrebbe mai più fatto tornare a casa da sola, non per le immediate volte successive e, quando la necessità lo avrebbe di nuovo reso inevitabile, mi avrebbe anche denigrato con un "Torna da sola, però non ti devi perdere di nuovo come l'altra volta!", come sei io avessi voluto farlo apposta, aggiungendo anche un po' di senso di colpa oltre a quello di inettitudine (storia realmente accaduta, anche se in contesti leggermente diversi).
Ecco. Questa è la mia crisi esistenziale di oggi.
Credevo che avrei cresciuto figlie sicure di sé, autonome, capaci, indipendenti e consapevoli delle proprie capacità. Credevo che avrebbe funzionato come in un'equazione matematica: se mi comporto come penso che avrebbero dovuto fare i miei, loro cresceranno come avrei voluto crescere io. Invece no.
Spesso mi dicevano: "Quando anche tu sarai mamma capirai".
Ebbene, adesso capisco; capisco non tanto le loro singole scelte o linee educative, bensì quanto sia dannatamente difficile essere genitori.
io mi sono persa su una strada che faccio tutti i giorni da cinque anni.
RispondiEliminaE non ho saputo dove mi trovavo per svariati minuti e svariate centinaia di metri (ero in macchina, tra l'altro, cosa ben più grave)
e non ho 12 anni ma 43.
Ecco, giusto per essere incoraggiante.
p.s. a mio marito non l'ho ancora detto, e sono passati mesi, ma più che altro perchè se no mi sta in pensiero quando vado in giro da sola e non è il caso
p.p.s. Pure io avrei pianto, sei stata molto brava a non farlo mentre eri al telefono con lei!
Siete state bravissime!!!<3<3<3<3<3 Tu, perché hai deciso di essere un genitore che accompagna gradualmente i figli nella loro crescita trattandoli da esseri umani pensanti e responsabilizzandoli, lei che ti ha chiamato subito e che ha risolto l'inconveniente brillantemente...
RispondiEliminapoi ci sta che si butti giù, si sarà spaventata.. piccolina!!
ci sta anche che tu sia in crisi...
nessuno ha mai detto che essere genitori è facile!! anzi è il mestiere più difficile del mondo!!!!
però, la tua linea educativa è quella giusta, sono sicura e convinta di sì!!
Continua su questa strada. Sempre. I risultati li vedi già!
un abbraccio forte a te e a Matilde
ps: ho 54anni e i miei mi trattano ancora come 'na picciriddra di cinc'anni (ma questa è tutt'altra storia, anche io avrei bisogno di taaaaaaaaaaanta psicoterapia!!)
:* :* :*