L'amore da adulti è una cosa complicata. Si hanno segni e cicatrici ovunque: ferite risanate che lasciano ombre perlacee sulla pelle, fratture ricomposte alla bell'e meglio che mandano quella lieve fitta di dolore quando si fa proprio quel movimento lì, tipo quello di lasciarsi abbracciare. E' tutto un trattenersi, un andarci piano, uno stato di vigile abbandono: mi fido ma non troppo.
E' come camminare sulla superficie di un lago gelato immerso in paesaggio di montagna, con il candido splendore della neve che incorona le foreste tutto intorno, il cielo azzurro e limpido che ti ricopre, la luce brillante del sole che ti si appoggia addosso, dandoti quel tiepido conforto; ma tu sei proprio lì, su una superficie fragile e infida, passo dopo passo ti godi l'esperienza con i tuoi sensi fisici, ma dentro di te sai, sospetti, temi che quell'incanto possa d'improvviso trasformarsi in un incubo, che il ghiaccio possa rompersi senza preavviso solo perché hai fatto un passo più disinvolto degli altri, o perché hai beccato il punto debole, fragile, traditore.
L'amore da adulti è una cosa buffa. Si affievolisce l'ansia del piacere a tutti i costi, l'ansia dell'essere perfetti, impeccabili, immacolati. Invece che percorrere sui corpi i sentieri lineari dei pieni e dei vuoti, vi disegnate addosso la mappa dei dolori, giocate a "celo manca" con le terapie e i farmaci che prendete abitualmente e vivete la relazione di nascosto dai rispettivi figli, invece che dai genitori.
E' come quella scena di quel film di quarant'anni fa, che ogni volta che la rivedi ti fa emozionare come la prima volta, ma ha cambiato il suo sapore, e noti dei dettagli che non avevi notato prima, e ti meravigli che abbia potuto davvero funzionare sul piano narrativo e cinematografico, ma ne prendi atto perché tu sei ancora lì, quarant'anni dopo, ancora a riderne, piangerne, trasalire, trattenere il fiato o chiudere gli occhi per la paura.
L'amore da adulti è una cosa spaventosa. Ci si fanno mille paranoie, si hanno mille timori, mille remore. Si ha paura di farsi male e fare del male. Ancora una volta. Si ha paura di perdere la propria individualità, la propria indipendenza, quella routine fatta di doveri e capricci ormai consolidata e che intride la quotidianità come ne fosse l'armatura interna che la regge, la supporta, le da ragione di essere e di stare ancora in piedi, e quindi se la perdi che ne sarà di te?
E' come nuotare in un mare in tempesta, agitato da venti di tormenta e sovrastato da un cielo plumbeo squarciato da lampi e fulmini; con le onde che ti sommergono, con il frastuono della bufera che ti distoglie da qualsiasi pensiero, e il suo urlo furioso che ti attanaglia, ma al quale non riesci a sfuggire.
E allora capisci che stai lottando contro qualcosa alla quale non potrai mai opporti: puoi solo affidarti, lasciarti andare, abbandonarti al fluire degli eventi.
Prendi fiato e ti immergi.
La tempesta sulla superficie è lontana, e tu scendi giù, giù, giù e speri solo di avere fiato a sufficienza, e quando ti fermi riapri gli occhi.
Il fondo del mare è ovattato, silenzioso, avvolgente.
Abitato, colorato, bello.
L'amore da adulti è una cosa meravigliosa.
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