Una cosa buona di un trasloco fatto in fretta è che quando cerchi qualcosa di non fondamentale importanza, non hai idea di dove l'hai infilata nella fretta e nella furia di sgomberare la casa nuova dagli scatoloni. Ti ritrovi, dunque, a frugare lì dove hai messo le cose-che-poi-glielo-troviamo-un-posto e scovi certi reperti archeologici che non ricordavi nemmeno di avere ancora con te, e invece scopri che hanno letteralmente attraversato gli oceani del tempo e dello spazio.
E così ritrovi la targa di premiazione del concorso letterario del liceo, quando hai vinto. E appena guardi la scatola riemerge dai meandri della memoria l'immagine di te, piena di orgoglio, che inserisci dentro la confezione una copia della poesia che è stata premiata. Apri la scatola, sollevi il supporto della targa ed eccolo lì, un foglio di carta ripiegato. Lo apri e riconosci facilmente i tipi della macchina da scrivere Olivetti di tuo padre, elettrica quindi modernissima, con la quale hai dattiloscritto quella poesia per presentarla al concorso. Era l'anno scolastico 1995/1996.
Che nostalgia! Che tempi!
Quindi decidi di approcciarti al testo e rileggere la poesia.
Mentre la leggi le parole ti vengono automaticamente richiamate in mente: dopo 29 anni potresti ancora recitarla a memoria.
Che nostalgia! Che tempi!
La rileggi.
Ti soffermi un attimo a riflettere.
Ti ricordi esattamente tutti i turbamenti interiori ed esteriori che te l'hanno ispirata, tutti gli sconvolgimenti emotivi di te diciassettenne, adolescente sfigata e disadattata della provincia palermitana, piena di brufoli, paranoie di tutti i tipi, disagi assortiti e altre amenità simili.
E poi ti dici: ma quanto fa schifo sta poesia?!
Eppure te l'hanno premiata.
Forse eri raccomandata, oppure eri l'unica a partecipare.
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