25/11/25

Proprio oggi

Io ho subito violenza. Sono una di quel terzo di donne che in Italia ha subito almeno un tipo di violenza. Ovviamente l'ho capito solo molto dopo, perché nessuna delle violenze che ho subito era di tipo eclatante.

Stamattina ascoltavo una riflessione a tal proposito e mi sono fermata a riflettere su quanto sia storto il modo con cui cresciamo e alleviamo le bambine, educandole fin da subito a stare attente, a non mettersi nei guai, ad essere remissive e rispettose, sempre carine e coccolose. Iniziamo fin da subito a ingabbiarle nello status delle vittime, ché se ti succede qualcosa la colpa è tua perché hai avuto l'ardire di vestirti in un certo modo, o di replicare in un certo modo, o ti sei sfacciatamente sentita libera di andare in un certo posto o di fare una certa cosa.
Ammetto che - una volta presa consapevolezza di questo - faccio grande fatica a non commentare gli outfit delle mie figlie, mai indecenti in termini assoluti, ma che visti con occhi malati potrebbero sembrare provocanti.

Provocanti. Che parola orribile. E' quella che trasforma la vittima in carnefice di se stessa e la rende responsabile del comportamento di chi la violenza la agisce. Assurda parola.

Nessuno mi ha mai fatto fisicamente del male - ci tengo a precisarlo - ma di ricatti morali in tal senso ne ho ricevuti molti. E due miei uomini del passato, pur non colpendomi mai con forza, qualche volta lo hanno fatto. A volte camuffandolo da gesto di cameratismo, anche se eravamo fidanzati e non commilitoni, per una mia battuta pungente, o semplicemente come gesto di sfogo di una frustrazione costante e soffocata che provavano nei miei riguardi. Una volta uno di loro lo fece persino davanti a suo padre, e lui lo rimproverò duramente, ma non disse niente a me, né prese mai più l'argomento.

Quando ero ragazzina, invece, mi sentivo in colpa per il mio corpo giovane e allettante che attirava gli sguardi indiscreti di un uomo che mi veniva più o meno parente e che in quegli anni frequentavamo spesso in famiglia.
Mi spiava da sotto il tavolo ed io ho smesso di indossare gonne. Ma gli aspetti più orribili sono due: il primo è che mi sentivo io responsabile; cioè lui era un vecchio porco che guardava sotto la gonna di una ragazzina di 15-16 anni ed ero io che me ne sentivo colpevole e quindi ho smesso di indossare le gonne che tanto mi piacevano; il secondo aspetto è che i miei genitori lo sapevano e non facevano assolutamente niente. 
Ecco perché non dico mai alle mie figlie che hanno indossato una gonna molto corta, oppure che non devono indossare il top che lascia la pancia parzialmente scoperta. Perché non voglio che si sentano come mi sentivo io, costretta a rinunciare al mio piacere nel vestirmi come volevo, per non essere provocante. 
L'ho già detto che trovo la parola "provocante" la più terribile fra le parole?
Siccome vivo nel mondo di oggi, so che è un rischio andare in giro con le gambe scoperte o con l'ombelico di fuori, ma credo fermamente nel cambiamento culturale "dal basso". Mai e poi mai permetterei a nessuno di dare la colpa al loro modo di vestire se dovesse succedere loro qualcosa.
Probabilmente io perderei il lume della ragione e mi trasformerei in creatura feroce nei confronti di chi fa loro del male, ma mai e poi mai darei loro la responsabilità, seppure minima, di ciò che potrebbe accadere. Voglio che si sentano libere di piacersi, perché anche gli altri sono esseri senzienti e dotati di intelletto, e usare violenza su una donna solo perché indossa una minigonna non è comportamento da essere senziente dotato di intelletto. La colpa non è della minigonna.
Incrocio le dita e spero in bene. Incrocio anche quelle dell'altra mano e spero che le loro figlie o le loro nipoti possano guardare a me, che ho smesso di indossare gonne, come io guardo a mia nonna, costretta a sposarsi per rimediare alla colpa di aver attirato le attenzioni di un uomo che l'ha rapita, violentata e compromessa quando aveva 14 anni. 
Come oggi non ammettiamo più l'idea di "matrimonio riparatore", sogno un futuro dove nessuno ammetterebbe più la domanda "Com'eri vestita?".

E in tutto questo, proprio oggi l'altro mio nonno avrebbe compiuto 100 anni. Anche loro si sposarono riparando alla fuitina, ma quanto meno quell'altra mia nonna, pur essendo giovanissima, era complice e consenziente.

23/11/25

Domenica

Decidere su due piedi di fare una torta per le mie figlie, arrangiandomi solo con il poco che c'è in casa.
Notare lo sguardo sorpreso di entrambe, mentre annusano l'aria che "profuma di torta".
Sentirmi la peggiore delle madri dell'universo.
Ricevere i loro apprezzamenti dopo averla mangiata.
Riconoscere di essere ancora, forse, una madre appena appena accettabile, ma sentirmi comunque come un'ingannatrice impunita.

Le domeniche in casa Van Pelt

21/11/25

L'affare Makropulos

La settimana scorsa il professore di teatro ci aveva lasciato da leggere e interpretare il monologo più famoso dell'opera teatrale "L'affare Makropulos" di Karel Capek.

Una pagina intera che non andava - obbligatoriamente - imparata a memoria, piena di riflessioni sul senso "finito" della vita umana, di come l'esagerazione svuota di significato ogni cosa, anche la più bella e auspicabile. Nel caso della protagonista: la vita.

Emilia ha 342 anni perché ha avuto accesso ad una formula magica che le ha permesso di cristallizzare il suo corpo e vivere per altri 300 anni. Allo scadere del tempo, pur essendo ormai annoiata di tutto, del bene e del male, cerca di rinnovare l'incantesimo perché ammette di avere comunque paura di morire.

Io l'ho letto e riletto centinaia di volte fino a impararlo (quasi bene) a memoria. Poi il professori si è assentato ed ha mandato a sostituirlo la sua collega che si occupa del corso avanzato.
Non volevo mettermi in mostra, ma il mio ego è stato più forse del mio senso etico nei confronti degli altri compagni. L'ho detto.
Alla domanda "Ma quindi nessuno di voi è riuscito a prepararne un'interpretazione anche solo leggendolo dal copione?" ho risposto che in effetti io lo avevo fatto. Anche sforzandomi di mandarlo a memoria.

Ho sudato e tremavo, ma l'ho recitato sbirciando solo occasionalmente dal foglio.
Per me è stato un trionfo.

Come in ogni aspetto della mia esistenza, io vivo spaccata a metà.
Una delle grandi dicotomie della mia personalità è proprio la convivenza tra la mia essenza yogica, spirituale, fatta di ascolto e rispetto del Sé, senza fronzoli, senza attaccamento alle cose materiali, praticando la contentezza, l'amore per l'essenziale, il servizio verso gli altri, vivendo il silenzio come un dono prezioso; dall'altro lato c'è il mio spirito istrionico e teatrale, la passione per lo spettacolo, per la musica, l'esibizione, il desiderio di mostrare agli altri quanto sono brava e capace.

Esattamente come Emilia, che dice di non sentire più nessuna emozione che possa farle amare la vita, eppure ammette di avere una terribile paura di morire.

20/11/25

La vita è ingiusta

Sono pronta per la terza e ultima lezione della mattinata alla scuola dell'infanzia. Sento le voci dei bambini in corridoio, mentre si avvicinano alla sala che utilizziamo. 

Entrano, li saluto, li invito a sedersi sui tappetini, e la maestra mi chiede se può parlarmi in disparte un secondo.

Non è una cosa che succede spesso, solo in casi gravi.
Mi dice che pochi giorni prima è morta la mamma di una dei bambini. Un tumore fulminante, diagnosticato appena un mese prima. La bambina lo sa, ma ha solo 3 anni, e la morte è un concetto troppo astratto. Nei prossimi mesi diventerà maledettamente concreto.

Come io abbia fatto a portare avanti la lezione, con il solito tono, la solita leggerezza, la solita gioia io ancora me lo chiedo.
Avevo la bambina davanti, una bambina di 3 anni appena, con gli occhioni sereni e allegri, che ha seguito tutta la lezione contenta e sorridente, incapace di capire la reale entità di quello che le è successo. Io avevo un macigno sul cuore.

A pranzo mi sono vista con il Capitano ed ho sfogato con lui tutte le lacrime che avevo trattenuto per un paio d'ore.
La vita a volte è davvero ingiusta.

19/11/25

Lo stetoscopio della zia Nina

Confidavo nell'effetto sorpresa e invece la sorpresa l'hanno fatta loro a me.
I bambini di oggi conoscono lo stetoscopio, sanno a cosa serve e come si chiama. Non avevo mai sentito un bambino di 4 anni pronunciare la parola "stetoscopio".

Lo conoscono perché lo hanno visto usare dai loro pediatri oppure perché ce l'hanno giocattolo.
Io gliel'ho portato vero però, e una bambina mi ha chiesto se allora io sono una dottoressa (in incognito! sotto le mentite spoglie di una maestra di yoga).
No, non sono una dottoressa e quello che ho portato era uno stetoscopio di mia zia Nina. Lei sì che faceva la dottoressa.

Uso lo stetoscopio della zia Nina esattamente da quando è morta, da quando abbiamo sgomberato la sua casa e l'ho trovato. 
Ho raccontato ai bambini che in questo modo mi sembra che anche la zia Nina sia con me, quando faccio yoga con loro. Uno mi ha chiesto se anche la zia Nina fa yoga. Boh? Magari dove si trova adesso sì.

18/11/25

La direttrice

A giugno sono stata invitata da un'azienda a fare un corso di yoga in pausa pranzo per il personale.
In quell'occasione ho visitato la struttura individuando la sala più adatta, ma mi sono relazionata solo con la ragazza promotrice dell'accordo. Solo poco prima di andarmene mi ha invitato a conoscere la direttrice.
Sono entrata, dunque, in un lussuosissimo ufficio, con lampadari, quadri alle pareti, scrivania e poltrona presidenziale.
La direttrice era una donna probabilmente mia coetanea, molto simpatica e accogliente, ben curata ma non appariscente.

A inizio ottobre, dunque, comincio il corso con 4 allieve mai viste prima. 
Mi mantengo sul soft generico, perché sono 4 corpi, 4 età e soprattutto 4 modi diversi di vivere il movimento, l'alimentazione e la cura del proprio benessere, ma conduco comunque le lezioni a modo mio: col sorriso, sdrammatizzando le difficoltà e la fatica, guidandole in un viaggio all'interno del proprio essere, incoraggiandole e supportandole nelle fasi critiche e buttando lì qualche battuta ogni tanto.

Solo dopo più di un mese, incrociandola all'uscita dal bagno dove era andata a cambiarsi e vedendola in abiti "ufficiali", ho finalmente riconosciuto la direttrice nell'allieva alla quale 10 minuti prima avevo detto che doveva (sic) "stringere le chiappette così tonifichiamo per bene il lato B e cominciamo da novembre a lavorare per la prova costume di luglio".

Per fortuna non mi ha licenziata.
Ancora.

17/11/25

Un anno

Un anno fa il mio cuore ha ripreso a battere ed io ho scoperto che posso ancora amare, emozionarmi, vivere.




15/11/25

L'imbucato molesto

Ho 16 famiglie con bambini dai 2 ai 4 anni davanti a me; ho appena finito la parte più attiva della lezione: abbiamo cantato, ci siamo riscaldati, abbiamo fatto gli asana, abbiamo fatto il giochino di contatto. E' il momento della lettura, l'ultimo sforzo per la mia voce, ma il mio momento preferito, perché sancisce l'inizio della fine della lezione.
Ho scelto un albo illustrato simpatico, uno dei miei cavalli di battaglia perché mi permette di drammatizzarlo ottenendo un grande effetto sorpresa sul finale, che fa ridere sia i bambini che i loro genitori.
Come sempre, quando prendo il libro in mano, mostro loro la copertina e chiedo se lo conoscono già.
Inforco gli occhiali, bevo un sorso d'acqua, l'ennesimo, faccio un bel respiro e mi accingo a iniziare quando nell'aria esplode una musica elettronica non ben indentificata.
Guardo Matilde, mia figlia, che ormai mi fa da assistente a certe lezioni quando sono affollate, e domando: "Ma che è sta cosa?"
Lei mi guarda, imbarazzata, di rimando e mi indica il fondo della sala.

Un nonno, imbucato perché doveva guardare il fratellino appena nato di una piccola yogina mentre lei e la mamma facevano lezione con me, si stava bellamente facendo i fatti suoi sul telefono e gli era partito un video con l'audio a palla.

Quando pensi di averle viste tutte...

14/11/25

Dalla bellezza all'angoscia

Ho finito la mia giornata lavorativa, ho cenato, ho ancora un'ora prima di iniziare (da allieva) il corso di teatro.
Decido di fare una lunga passeggiata per le vie del centro di Torino, in silenzio, immergendomi nell'atmosfera festosa che si respira in questi giorni. Cammino lungo via Po, sotto i portici. I negozi hanno già gli allestimenti natalizi, ed io li adoro. C'è una molesta sovrapresenza di palline gialle o di richiami più o meno opportuni al tennis, ma pazienza, il periodo è quello che è.
Arrivo in fondo a via Po, in piazza Vittorio, e decido di arrivare al fiume. 
E' mentre attraverso che le noto.
Tre ragazze accovacciate, poi una di loro si alza, mentre le altre due restano giù. Una di loro è seduta per terra, con le spalle poggiate al muretto, e l'altra - davanti a lei - le tiene le mani.
Passo loro accanto e vedo che quella seduta piange mentre l'altra le dice "Guardami. Respira e guardami. Guarda me".
Passo oltre, vado verso il ponte, ma mi rendo conto che tra i presenti non le nota nessuno. O meglio: una coppia di ragazzi è passata al loro fianco e lui si è girato. Si fermano un po' distanti e restano ad osservarle.
Allora mi avvicino a una quarta ragazza, leggermente in disparte, e le chiedo se secondo lei la ragazza ha bisogno di aiuto, se hanno chiamato un'ambulanza o non so.
La ragazzina avrà avuto 15 o 16 anni (questo dettaglio mi turba parecchio) e mi dice che no, non serve, non è grave.
Le chiedo se lei è con loro, se sa cosa è successo, e lei mi risponde che va tutto bene, che la ragazza a terra ha solo litigato col fidanzato.
Mi assicuro che non sia davvero necessario chiamare qualcuno, quindi me ne torno sui miei passi.
Le osservo ancora dall'altro lato dell'incrocio e mi sento salire un'angoscia soffocante che mi strozza il respiro e riempie gli occhi di lacrime.
Non so perché, ma ho pensato alla mamma di quella ragazza, che magari non ne sa niente di quanto dolore provi sua figlia.
Ho pensato alle mie figlie ed ho sperato che, se mai un giorno dovessero avere bisogno di aiuto mentre si trovano fuori casa, qualcuno possa offrirsi di aiutarle.

Volevo fare una passeggiata di decompressione, volevo riempirmi di bellezza, invece mi sono solo caricata di angoscia.

12/11/25

Cavalleria atletica

Il Capitano non è propriamente uno sportivo, ma si allena in palestra con impegno e costanza.
Io non sono propriamente una sportiva, ma da un paio di mesi ho iniziato a fare lezioni di yoga tutti i giorni, anche 2 o 3 al giorno, alcune delle quali consecutivamente.
Lui fa pesi, io lavoro a corpo libero. 
Lui conosce i nomi delle macchine da palestra e degli esercizi, io conosco il sanscrito.

Parlando di teoria, finiamo sulla pratica, e la pratica in questione è il cosiddetto "plank". Me la mostra, io la replico. 

Cerco di trovare un asana corrispettivo, ma in realtà non c'è perché non è né Chaturanga Dandasana, né Ardha Sirshasana, ma piuttosto una via di mezzo. Non è nemmeno Kumbhakasana, perché lui si appoggia sugli avambracci. Boh, magari sarà la variante di qualcosa, senz'altro.

Comunque bello. Un bel lavoro sugli addominali più che sulle braccia, forse meglio per certi muscoli della spalla.

E ce ne stiamo lì, sul tappeto della sala di casa sua, a fare plank e scoprire - con una sfida più o meno esplicita - chi resiste di più.

Io parlo e dico cose sceme, come sempre. Lui ride e crolla.
Vinco io, ma secondo me lo ha fatto per cavalleria :-D

11/11/25

La fine di un'altra fase

Le fasi della vita sono scandite con precisione da alcuni episodi ed eventi ben identificabili.

Ho smesso di essere bambina la sera in cui mio padre mi ha svegliata e non mi ha più preso in braccio per portarmi a casa quando mi ero addormentata sul sedile posteriore dell'auto.
Ho smesso di essere una ragazza il giorno in cui un adolescente mi ha detto: "Signora, le è caduto questo", e il "questo" in questione era il ciuccio di Matilde che stava nel passeggino.

Oggi, al supermercato, mentre frugavo nella taschina del portafogli per dare alla cassiera le monete giuste, lei mi ha chiesto: "Vuole che le prendo io?".
È stato un flash.
Negli anni ho visto eserciti di uomini e donne anziane offrire la taschina delle monete alle cassiere per permettere ai loro giovani occhi e dita di individuare le monete giuste.

Oggi, al supermercato, ho ringraziato la cassiera e le ho trovate io, ma ho avuto la sensazione che sia stato per me uno degli eventi indicatori della transizione da una parte all'altra della barricata. Che io ci sia (ancora) riuscita o meno non importa, ciò che colpisce è l'offerta di aiuto da parte della cassiera ventenne.

Mi chiedo, dunque, cosa ho smesso di essere, oggi?
No, non ditemelo. Non voglio saperlo.

10/11/25

Commossa

Stasera, alla fine di una lezione di Hatha Yoga, una mia allieva si è asciugata le lacrime e ha detto di essersi commossa.
Credo sia stata la visualizzazione che ho guidato durante il rilassamento, ad emozionarla.

Agli inizi della mia carriera, mi capitava di far piangere i bambini, ma era solo la scarsa esperienza che avevo.
Quando ho cominciato a fare lezione alle famiglie, mi capitava di far piangere le mamme, ma era commozione per certe suggestioni che offrivo durante le letture, o le attività di contatto coi loro figli, soprattutto se nel frattempo cantavo per loro il mantra.

Con gli adulti non mi era ancora mai capitato.

Durante la visualizzazione li ho invitati a cercare la luce dentro di loro e lasciarla espandere fino alla periferia del corpo e oltre. "Sentiamoci immersi nella nostra stessa luce", ho detto.
Magari la mia allieva non sapeva che la sua potesse essere così potente.

09/11/25

L'amica

Oggi è il compleanno della mia amica palermitana, anche se ormai lei non vuole più essere mia amica, che detta così sembra una cosa da bambini dell'asilo e forse un po' lo è, ma è esattamente quello che sta succedendo, quindi pazienza.
Per il mio compleanno lei mi ha mandato un messaggio di auguri, senz'altro sincero e sentito. Non ce la vedo a fare gesti d'affetto controvoglia. Oggi io ho fatto altrettanto, le ho mandato un messaggio di auguri e lei mi ha risposto ringraziandomi.

Qualche giorno fa l'ho sognata, ma non è stata la prima volta. Soprattutto negli ultimi tempi l'ho sognata diverse volte. La verità è che io questa cosa non l'ho accettata. Sto assecondando e rispettando la sua necessità di allontanarsi da me, perché non si sentiva più capita, apprezzata, accettata da me.
Io, dal canto mio, potrei dire lo stesso, con la differenza che non mi sono mai aspettata di essere apprezzata da lei, ma voluta bene quello sì. Ascoltata senza giudizio, quello sì.
Lei mi ha salvato la vita quando mi sono separata da Schroeder, mi è sempre stata vicina quando ho preso decisioni difficili e -  a differenza di Gandalf - ha accettato la mia decisione di trasferirmi a Torino, accettando di condividere con me il dolore della distanza. Mi ha ascoltato nei momenti critici, mi ha offerto punti di vista esterni a me per vedere meglio le situazioni in cui stavo impantanata.
Da qualche tempo non è più stata disposta a farlo.

Mi manca.
Mi manca tremendamente.
Mi manca lei come persona, mi mancano le telefonate infinite che ci facevamo, dove ridevamo e piangevamo, ma quando chiudevamo eravamo entrambe un po' più leggere.
Quanto avrei bisogno, in questo periodo, della sua leggerezza. 

Nei giorni scorsi mi ero ripromessa di approfittare di questo giorno per chiederle se potevo telefonarle. Mi manca persino il suo accento fortissimo. Non ci sono riuscita. Non ne ho avuto il coraggio.

Adesso mi prendo in giro da sola dicendomi che ci riproverò a Natale, che siamo tradizionalmente tutti più buoni, magari non mi manda a quel paese, ma so già che non lo farò.

07/11/25

La sorpresa

Avevo avuto la sensazione che fosse un incontro organizzato *per me*, nel momento in cui mi ha scritto in privato una delle ragazze del gruppo di teatro per dirmi che si stava organizzando un aperitivo prima della consueta lezione settimanale.
La lezione si tiene tutti i venerdì, dalle 21 alle 22.30 e a fine lezione gli altri fanno spesso serata lunga in qualche locale nei dintorni della scuola, ma io no. Il sabato mattina io quasi sempre lavoro; una volta avevo detto che avrei potuto raggiungerli se organizzavano qualcosa prima, e dopo un paio di settimane così è stato.
C'era, però, qualcosa che non mi tornava... questa cosa del messaggio in privato. Abbiamo un gruppo whatsapp e gli accordi per gli eventi sociali passano tutti di lì. 
Ho avuto la sensazione che non fosse un evento aperto a tutti, oppure che per qualche motivo volevano essere sicuri che io lo sapessi e dessi la mia adesione.
Mi vogliono bene, ho pensato.

Ho avuto un venerdì pomeriggio turbolento e costellato di imprevisti. A parte una settimana stancante e la giornata era stata molto più impegnativa del solito.
Li ho solo avvisati che avrei fatto un po' più tardi, ma li avrei raggiunti comunque. E così ho fatto.

In effetti erano in pochi, solo 7 su un totale di almeno 22 tra vecchi e nuovi.

Dopo pochi minuti che ero arrivata, nel mezzo della conversazione, la ragazza che mi aveva scritto in privato esordisce con: "Però noi stasera siamo qui riuniti per un motivo preciso".
Mi attivo. Penso che deve darci una comunicazione, magari ci vuole annunciare che è incinta, oppure che si sposa... Faccio una battuta ad un'altra che mi siede accanto, le dico "Oddio, adesso ci dobbiamo preoccupare", ma lei mi sorride dicendo "E come mai ti preoccupi? Forse perché hai capito che il motivo sei tu?".
Cado dalle nuvole. In che senso il motivo sono io? Che ho fatto io? Che c'entro io?
La ragazza mi da un pacchetto dicendo che era da parte di tutti loro.
Mi hanno fatto un regalo per ringraziarmi della disponibilità che ho avuto, nei mesi scorsi, ad offrire la ludoteca come sala prove extra in vista del saggio.
Si sono accordati su un gruppo whatsapp a parte, che hanno chiamato "Lucy è mitica" con tanto di mia foto.

Può sembrare una cosa stupida, forse parzialmente lo è, però io mi sono commossa davvero.
Io sono sempre stata l'invisibile, l'insignificante. Nessuno ha mai pensato di farmi un regalo per ringraziarmi della mia disponibilità. Nessuno si è mai accordato segretamente per farmi una sorpresa. Nessuno mi ha mai intitolato un gruppo whatsapp. Mi sono sentita una specie di Lady Gaga de noantri.

Credo che una tale dimostrazione di amicizia e affetto da un gruppo intero di persone a me vicine mi sia stata data l'ultima volta dal baby shower a sorpresa che le amiche creative palermitane mi hanno organizzato un mese prima che nascesse Angelica. Però quello era anche un altro contesto: ci stava, era una cosa a sorpresa e che non mi aspettavo, ma in qualche modo era prevedibile.
Questa qui no.
Questa cosa è stata pensata solo ed esclusivamente per affetto e gratitudine nei miei confronti.

Penso che siano le uniche persone che potrei definire "amici".
Mi sono sentita molto fortunata.

06/11/25

Il dolce novembre

Non so il perché, non credo sia sempre stato così, ma da un po' di tempo a questa parte comincio a trovare una dolcezza inaspettata nel mese di novembre. 
Sarà la luce ambrata del sole, che non brilla più come in estate, né così a lungo; saranno i colori caldi delle foglie per terra o in bilico sui rami degli alberi; sarà il confortante tepore che ormai si sente in tutti i luoghi interni; sarà il buio sempre crescente, che invita ad accoccolarsi, chiudere gli occhi, aspettare.

Sarà che in questo mese, un anno fa, mi sono innamorata.

Da bambina provavo antipatia per il mese di novembre, non era più tiepido come ottobre, non era ancora scintillante e gioioso come dicembre. Adesso lo amo.

05/11/25

Lo hai fatto da sola

Propongo alle mie allieve adulte di hatha yoga una posizione avanzata. Camatkarasana, un inarcamento su 3 punti di appoggio (i due piedi e una sola mano) mentre l'altro braccio è esteso assecondando l'apertura del torace.
Non è difficilissima, ma è una di quegli asana che puoi fare solo se sei confidente nella tua forza, nel tuo equilibrio e nel tuo corpo in generale, perché c'è un momento in cui devi restare quasi sospeso sul vuoto, fidandoti solo di un piede e una mano, mentre aspetti che anche l'altro piede poggi per terra e ti dia stabilità.
Tradizionalmente, infatti, si fa la transizione da Adhomukhasvanasana, la posizione del cane a faccia in giù.

Siccome ho grande fiducia in me, nel mio corpo, nel mio equilibrio e nella mia forza, ho voluto provare a completare la sequenza con la transizione ulteriore a Urdvadhanurasana, il cosiddetto "ponte". Difficile, ma non impossibile: la parte più difficile è la rotazione della spalla e del braccio che poggia per permettere l'inarcamento completo della schiena e quindi di appoggiare anche l'altra mano.

L'ho fatto. L'ho proposto alle mie allieve e, con il mio supporto fisico (le reggevo con le mie mani mentre ruotavano ulteriormente) anche molte di loro sono riuscite a farlo.
Una di loro, però, mi guarda sconvolta e dice "Ma tu lo hai fatto da sola, reggendoti con le tue sole forze".
La guardo e le rispondo "Ma io mi faccio un cuBo così, Martina" arricchendo le parole con il gesto esplicativo.

E' vero che per certe cose il mio corpo è più predisposto, così come è alttrettanto vero che in altre cose sono molto più bloccata di certi miei allievi principianti. Siamo tutti diversi, ognuno ha il suo corpo.
Però è anche vero che io mi esercito quotidianamente, e conduco anche 2-3 lezioni al giorno. Mica pratico solo 1 o 2 volte la settimana.

Boh, finché reggo va bene.

04/11/25

Piccoli yogin screanzati

Sono tornata in una scuola dove andavo l'anno scorso e, a differenza dell'anno scorso, per leggere la consueta storia di fine lezione ho indossato gli occhiali.
"Oooooh, maestra! Hai messo gli occhiali!"
"Eh già, la maestra sta diventando un po' vecchietta..."
"Sì, infatti, anche la mia nonna si mette gli occhiali!"

03/11/25

L'ultimo baluardo

Avevo ancora la carta d'identità vecchia, cartacea, emessa nel 2016 dal comune della ridente cittadina della provincia palermitana in cui abitavo.
Era ancora valida, me la sono tenuta cara fino ad oggi, come un cimelio, un piccolo tesoro da custodire gelosamente come segno di un'era che non c'è più.
A furia di aprire e chiudere, le due pagine si sono molto rovinate, dunque avevo messo un po' di scotch sul dorso esterno, per non farle staccare, e per intero l'avevo imbustata in modo che non si notasse. Tanto tutti quelli che dovevano verificare la mia identità, la aprivano. Chi se ne sarebbe mai accorto dello scotch sul dorso?
Sarebbe scaduta a ottobre 2026, ma ho saputo che tutte le carte cartacee dovevano necessariamente essere sostituite entro il 2026, a prescindere dalla data di scadenza, e so perfettamente che negli ultimi 5 anni c'è stata gente che, non trovando posto nelle prenotazioni, ha fatto carte false (ossia biglietti aerei per Nowhere) presentandosi alle 5 del mattino per mettersi in fila senza prenotazione e avere un documento d'identità valido di emergenza per il viaggio fittizio, ed ha ovviamente ricevuto quella cartacea.
Ho immaginato tutti questi furbacchioni che si ritroveranno di nuovo a doversi inventare un modo per farsi fare la carta d'identità elettronica.
Li ho battuti sul tempo. Ho rinunciato a un anno di validità e l'ho sostituita oggi.

Stamattina, all'ufficio dell'anagrafe, ho chiesto all'impiegata se poteva lasciarmela. No, deve necessariamente ritirarla.
L'ha infilata tra alcuni fogli e l'ha spillata dentro.
Io ho sentito un groppo in gola.

Era l'ultimo legame ufficiale con le mie origini.

02/11/25

I morti

Quando ero bambina, la festa dei morti, a Palermo, era quasi più importante di Natale. 
Negli anni si è un po' persa. 
Da quando sto a Torino non esiste più.
Eppure era un tripudio gioioso di regali, dolci, cacce al tesoro, pranzi di famiglia.

Appartiene anche questa a tutti quei piccoli frammenti di una vita passata della quale sento un'enorme mancanza, ma che non potrei più vivere.

Devo cercare la ricetta delle "Paste di miele", i biscotti tipici bagheresi per la festa dei morti, anche se so che non li farò mai.

01/11/25

I bro della rehab

"Mamma, come ti è andata la giornata? Oggi sei stata dai tuoi bro della rehab?"
Mi fermo a guardarla, con quei suoi occhioni luminosi e vivi dietro gli occhiali, sempre desiderosi di capire, di sapere, di imparare.
"Matilde, ma che stai dicendo?"
"Ma scusa, non vai a fare lezione in un centro di riabilitazione? Là... sul tuo planning, cosa c'è scritto?"
Indica la mia tabella con l'orario settimanale delle lezioni di yoga e dei luoghi dove si svolgono.
"Per favore, dimmi esattamente dove leggi "centro di riabilitazione", così, per essere sicura che non ti serva una visita dall'oculista"
Si alza, si avvicina alla parete dove sta appeso il foglio, ride.
La amo quando ride già pregustando le ulteriori risate che si farà quando scoprirà di aver travisato tutto.
"Qua! Educatorio! Non è una specie di comunità per tossicodipendenti?"
Io lo avevo capito già dalla seconda battuta che era quello il nome che aveva travisato.
"No, tesoro mio, l'Educatorio non è un centro di recupero per tossicodipendenti. E' una scuola. Privata. Per ricchi. Nel secondo quartiere più ricco e chic della città".
Ecco che si sganascia letteralmente dalle risate.
D'altro canto non è la prima volta che dimostra di non avere la più pallida idea di che lavoro facciano i suoi genitori... aveva iniziato all'asilo quando, alla consegna di "Disegno il lavoro di papà" aveva disegnato Schroeder con dei rettangoli in mano. La didascalia recitava "Papà passa i fogli agli altri".

Coi bro della rehab mi è finita meglio: mia figlia pensa che io faccia un lavoro nobile per puri di spirito.

31/10/25

Ritornare a respirare

Ospite in casa del Capitano per sfuggire all'orda di adolescenti che bivacca in casa mia, ho steso il tappetino da yoga sul suo tappeto in sala ed ho praticato come non facevo da settimane. 
In silenzio.
Senza descrivere i movimenti, senza nominare gli asana, senza guidare la respirazione, ma respirando e basta.

E' stato fantastico.

30/10/25

Parte del tutto

Non so se è solo la stanchezza, il periodo un po' complicato, la vecchiaia o chi lo sa, ma stamattina, guardando fuori dal finestrino dell'autobus, ho visto gli altri autobus che viaggiavano sulle altre strade, o in direzione opposta alla mia, ed ho pensato a tutte quelle persone, tutte quelle vite, quei pensieri, quelle gioie, quelle preoccupazioni. E poi gli autisti.

Ho pensato che dentro ogni autobus pieno di gente che va a lavorare, c'è l'autista che, per lavoro, guida il mezzo di trasporto che permette loro di andare a farlo.
Mi sono vertiginosamente sentita parte di un ingranaggio, di un meccanismo. Parte di un tutto.
Mi sono emozionata.

28/10/25

Talè

Tra le mie skill in cucina c'è quella di saper fare volteggiare in aria la roba in padella per rigirarla. Sono una maestra del gioco di polso destro, ruoto lievemente, lascio leggermente ondeggiare per assicurarmi che sia tutto staccato e oplà! colpetto di polso e la cotoletta, la frittata, la crepe, il pancake si rigira in aria, facendo un mezzo giro, e atterra di nuovo in padella.

Una skill sempre molto ammirata dalle mie figlie.

Ieri sera ho chiesto ad Angelica di rigirare lei le cotolette di soia. 
Ha afferrato il manico della padella e oplà!
"Talè!" ha esclamato.

E' proprio figlia mia.

23/10/25

La rabbia

Ieri, durante l'ultimo incontro del micropercorso di counseling, l'ho sentita con tutta la sua ferocia. Ed ho altrettanto sentito tutta la fatica che faccio costantemente per domarla.

Ho capito due cose: la prima è che voglio affrontarla, perché risucchia davvero tutte le mie energie e potrei spenderle in modo più costruttivo oppure, semplicemente, conservarle; la seconda è che questa cosa mi mette addosso così tanta paura e disagio che non potrò occuparmene da remoto. Ho bisogno di trovare qualcuno che mi aiuti e mi supporti in presenza ed in un contesto sicuro e dedicato.
Mi mette a disagio parlarne ed affrontarla nella cucina di casa mia.

21/10/25

Lo spettacolo nella mia vita

Da bambina sognavo di lavorare nel mondo dello spettacolo. Mi piaceva cantare, ballare, recitare. Avrei voluto imparare a suonare uno strumento, ma non mi è stato permesso se non quando era ormai troppo tardi ed avevo già smesso di crederci.

Sto recuperando tutto adesso.
Ho ripreso a suonare la chitarra, e quando riporterò a casa la tastiera elettronica riprenderò anche con il pianoforte. Ho iniziato a seguire un corso di teatro. Ho preso alcune lezioni di canto.

Dal punto di vista professionale, lo yoga è assolutamente "il mio". Non mi immagino a poter/saper fare così bene un lavoro diverso, e nello yoga per bambini sono riuscita a fondere nuovi e vecchi amori.
Con loro io recito, drammatizzo, suono, canto, danzo. Non me n'ero mai resa conto prima d'ora, di quanto un passo alla volta io abbia inconsciamente portato le mie passioni e i miei sogni infranti nel mio lavoro, di quanto io li abbia mantenuto vivi e presenti, continuando inconsapevolmente a coltivarli ed esprimerli.
Gli albi illustrati io non li leggo, io li drammatizzo, li recito.
Le sequenze di asana non sono altro che una danza.
La musica e il canto dal vivo... non conosco nessun altra collega che lo faccia: tutte portano la musica da ascoltare, mai da produrre.

La mia vita è davvero uno spettacolo completo.

20/10/25

Cose da non dire ad un'insegnante di yoga #14

"Sono incinta".

Beh, no , non è affatto una "cosa da non dire", anzi!
E' stato l'evento più emozionante della giornata di ieri: questa confessione fatta tra le lacrime, quell'abbraccio che cercava rassicurazione, comprensione, accoglienza.

Il mio lavoro mi rende davvero una donna fortunata.

19/10/25

La guerra d'indipendenza

Sto seguendo un nuovo percorso di counseling, stavolta molto breve e mirato, ma - com'era prevedibile - si stanno scoperchiando tante di quelle situazioni irrisolte in 47 anni di vita, che non ne basterebbe una intera a sciogliere tutti quei nodi.
Tralasciando i "conti aperti" che ho ancora con mio marito (che ogni volta che li affronto mi sembra di aver finalmente trovato pace e invece no, non è ancora così) ho ancora certi "mostri" da affrontare che risalgono all'infanzia e all'adolescenza.
Non penso di riuscire veramente a "guarire", però ogni giorno mi rendo conto di quanto queste situazioni condizionino ancora oggi il mio sentire, la mia salute, il mio modo di vivere le relazioni e la vita in generale, quindi no, non sono disposta ad accettare di esserne passivamente succube e limitarmi a subirne gli effetti, voglio almeno dialogarci. Riconoscerle, dare loro un nome. Poi, magari, non ci riuscirò a risolverle, però scenderci a patti è già un traguardo, provare a stilare un tacito accordo di non belligeranza è già un risultato.

Mi sento continuamente in lotta contro me stessa - SONO continuamente in lotta contro me stessa. Ci sono miei atteggiamenti del passato che non riesco ad accettare. Non riesco a perdonarmi la remissività con cui ho permesso ad altri di scegliere al posto mio.
E' vero che sono stata educata e cresciuta con la paura, l'estrema ricerca di un'integrità assoluta, morale e fisica. Qualsiasi deviazione dal sentiero tracciato era motivo di scandalo, di vergogna, di delusione verso la mia famiglia... e in alcuni casi persino di "onta" verso tutta la famiglia, il "buon cognome" dei Van Pelt. In tutti gli ambiti: gli studi, l'amore, la condotta pubblica e privata, le attività ricreative...

Ad esempio, sono l'unica tra i miei cugini, da entrambe le parti, ad essere divorziata. E di cugini ne ho 11.
E infatti la prima volta che ho VERAMENTE preso una decisione, l'ho perseguita e l'ho difesa davanti a tutta la famiglia estesa, è stato proprio quando ho buttato fuori di casa mio marito.
Era l'inizio del 2014 (non il 1964) ma lo scandalo familiare c'è stato davvero. Cugini che mi scrivevano, zii che telefonavano ai miei genitori, e altre amenità che vorrei poter dimenticare, ma sono scritti troppo in profondità.

Quel senso di inadeguatezza, di "essere sbagliata", che mi ha accompagnato per tutta la vita, ha iniziato ad affievolirsi poco a poco solo da quando me ne sono andata ed ho trovato la mia definizione professionale.

"La tua guerra d'indipendenza l'hai già vinta" mi ha detto qualche giorno fa il Capitano, e lui di guerre e battaglie se ne intende, "Ti restano solo tutti i piccoli conflitti con la quotidianità".

Quella guerra, in effetti, l'ho vinta. Dovrei firmare una pace definitiva con quei mostri ormai battuti, per evitare di dare loro ancora il potere di influenzarmi oggi. Se provo a guardarli bene, magari mi rendo conto che sono ormai ridotti a vermiciattoli innocui; è nella mia testa che li immagino ancora come draghi super potenti.

17/10/25

Tipo Truman

Il tizio che viene a fare la manutenzione degli estintori in ludoteca (ne ho già parlato in passato) è un po' particolare. Non sono ancora riuscita a capire se DAVVERO ci prova con me o se - più banalmente - è molto solo.
Viene due volte l'anno, a norma di legge; solitamente ad aprile e a ottobre, e - vai a capire il perché - me lo sorbisco sempre e solo io.

Nel mese di aprile, probabilmente a causa del "risveglio della natura", è leggermente più audace, mi fa domande personali, mi condivide suoi aneddoti ecc. Quando viene a ottobre il copione è quasi sempre lo stesso: 
"Bene, Lucy! Allora grazie! Ci rivediamo ad aprile, quindi ti auguro buona serata, buon tutto, e a questo punto anche buon Natale!"
"Grazie, Tizio degli Estintori! Ma io ci aggiungerei anche la Pasqua, perché l'anno prossimo è proprio a inizio aprile, quindi quando ci rivedremo sicuramente sarà già passata!"
"Eh già, allora ci rivediamo che abbiamo già mangiato il panettone, la colomba e anche l'uovo di Pasqua!"

Mi fa sempre sorridere quest'uomo. Quando mai mi ricapita di incontrare qualcuno che a metà ottobre mi fa gli auguri persino di Pasqua?

16/10/25

Ho rivisto il mio ex

Ho rivisto il mio ex.
Puzzava di m*rda e p*iscio di gatto.
Detto così sembra grottesco. Lo è anche stato, ma è stato soprattutto molto comico.

Con l'Ingegnere non ci vedevamo dallo scorso giugno, quando ha accettato l'invito di Matilde ad assistere ai suoi esami di maturità. Poi c'era stato uno scambio di mail durante l'estate, quando gli ho detto del Capitano. Ho preferito dirglielo io.

In questo anno e mezzo da quando ci siamo lasciati, ci siamo scambiati solo qualche messaggio di aggiornamento sulla salute del gatto che avevamo in comune e che è rimasto a lui, gli auguri per Natale e per il compleanno, cose così.

Qualche giorno fa mi aveva raccontato che il gatto aveva il controllo veterinario. Sapevo che ormai lui si muove solo in taxi, io ero libera e mi sono offerta di accompagnarli: mi faceva anche piacere rivederlo, sia lui che il gatto.

Si è svolto tutto in modo molto organizzato e nel suo perfetto stile. Puntuale e preciso.
La conversazione durante il tragitto è stata semplice, piacevole, neutra. Fino a che non si è diffuso un "odorino" dentro la macchina. Viene da fuori? No, viene da dentro.
Ok, Elliot si era lasciato andare dentro il trasportino. 
Avrebbe potuto esplodere l'imbarazzo, invece è esplosa tutta la comicità della situazione.

Fermi nel parcheggio della clinica veterinaria, barricati dentro la macchina rigorosamente chiusa per scongiurare il rischio di fuga del gatto, come chirurgo e assistente, lui ha provato a ripulire il trasportino alla bell'e meglio mentre - ridendo convulsamente - io gli porgevo i fazzoletti.
Bene, sembrava che la parte peggiore fosse finita. 
Li ho aspettati in macchina mentre erano in visita, stavolta coi finestrini aperti. Dunque mi è arrivato il suo messaggio: "Ho due notizie, una buona e una cattiva. Quella buona è che Elliot sta bene, quella cattiva è che mentre lo tenevo fermo per fargli fare l'ecografia mi ha p*sciato addosso".

Lo sguardo tronfio e soddisfatto del gatto era un fantastico contrappunto a quello inca##ato e mortificato di lui. Io non ho smesso di ridere per tutto il tragitto di ritorno, nonostante la risata faccia respirare più a fondo, ma tanto stavamo coi finestrini aperti.

Sotto casa sua mi ha ringraziato. "Avremmo dovuto metterci in tiro per dimostrarci quanto stiamo bene da quando ci siamo lasciati, invece potrai dire che quando hai rivisto il tuo ex puzzava di m*rda e di p*scio di gatto".
"E tu potrai dire che la tua ex ti ha dato un passaggio in macchina nonostante tu fossi impresentabile".

Certe situazioni continuano a manifestarsi pur cambiando la loro sostanza.

15/10/25

Cose da non dire a un'insegnante di yoga #13

"Ma quando cominciamo anche a fare le cose più difficili, quelle così  - si muove come il protagonista di Kung fu Panda - perché io ogni tanto li vedo, in qualche video, che quelli che fanno yoga fanno cose tipo la verticale sulla testa, oppure si piegano tutti indietro... li faremo anche noi? Oppure è un altro yoga?"

Ho respirato, ho sorriso. Ho risposto che sì, le faremo, ma non alla seconda lezione.

(Instagram è il vero nemico che sta snaturando lo yoga oltre ogni immaginazione)

14/10/25

Un dono

E' un'intesa speciale e inimmaginabile. Non andiamo sempre d'accordo, ma troviamo sempre un punto d'incontro che vada bene a entrambi. Siamo capaci di parlarci e ascoltarci. Non abbiamo paura l'uno dell'altro, ma accettiamo anche i nostri lati più bui e orribili. 
Ci offriamo presenza, conforto, punti di vista alternativi, sentimenti e occasioni per sorridere.
Siamo legati, ma liberi.

E' passato quasi un anno ed io non ricordo di essere mai stata così tanto bene in una relazione.

Un dono. 
Sono sempre più convita che il Capitano sia un dono che la vita ha voluto farmi.

13/10/25

Un altro nome

Io pratico la meditazione da circa 12 anni. 
Ho iniziato in modo molto saltuario e occasionale, poco strutturato, seguendo semplicemente le indicazioni date di volta in volta dall'insegnante di yoga che, in ogni caso, non ci proponeva la meditazione a tutte le lezioni.
Durante i ritiri c'era una maggiore presenza costante, ma si saltava da una tecnica all'altra. Mi è comunque servito molto per introdurmi a questa pratica. Alcune tecniche non le ho proprio capite e non mi hanno risuonato, mentre altre ho continuato a seguirle anche dopo.
La prima svolta è stata quando ho iniziato la mia formazione come insegnante di yoga per bambini. Ci hanno anche insegnato una tecnica da proporre ai bambini che io ho trovato molto "alla mia portata" e ho iniziato a farla abbastanza spesso.
La svolta decisiva è stata quando ho seguito la formazione solo di mindfulness e meditazione per bambini. Da quel momento sì che ho praticato quasi quotidianamente. Ho anche desiderato approfondire e crescere nella meditazione, ed è stato così che un anno e mezzo fa ho ricevuto l'iniziazione da una monaca e sono entrata a far parte di una comunità spirituale. Da allora pratico la meditazione almeno una volta al giorno, tutti i giorni, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, nei giorni faticosi e nei giorni di vacanza.
Ho anche ricevuto il nome in sanscrito, che uso praticamente solo con i confratelli e le consorelle, ma che è importante che io lo dica, lo pensi, ne interiorizzi il significato.

E la storia potrebbe avere qui il suo lieto fine, se non fosse che - dopo l'entusiasmo iniziale - ho cominciato ad avere difficoltà (ma mai ripensamenti), a sentirmi frustrata e delusa dalla sensazione di staticità nella mia meditazione. Non che mi aspettassi di raggiungere l'Illuminazione in un mese (anche se secondo me è il miracolo in cui sperano tutti i praticanti), ma da quando ho cambiato tecnica, ricevendo il mio mantra personale su cui meditare, mi è sembrato di non fare passi avanti.
Ho chiesto aiuto e supporto, e mi è stato dato, ma in me non è cambiato nulla.
Fino a sabato scorso, quando ho avuto occasione di parlare con un'altra monaca che mi ha aggiustato svariati aspetti del mio approccio, uno dei quali davvero fondante, ed è cambiato tutto.
Alla fine del colloquio, mi ha anche detto che forse il nome che mi era stato adatto non era il più adatto a ciò di cui ho bisogno, e me ne ha suggerito un altro, che non suona bene come il primo, ma che ha un significato molto profondo e indubbiamente necessario per me.

E allora ho fatto questa riflessione.
Anche nella meditazione ho avuto la sensazione di faticare il doppio per ottenere la metà, come spesso mi è accaduto nella mia vita soprattutto professionale, però almeno in questo caso ho incontrato qualcuno che mi è stato di aiuto concreto e risolutivo. Non raggiungerò il Samadhi in questa vita, ma di sicuro la qualità della mia meditazione è migliorata tantissimo dopo gli aggiustamenti.

E poi il nome.
Io non so chi sono, mi sono sempre sentita tutto e il contrario di tutto, indefinita e indefinibile, con molteplici caratteristiche senza spiccare in nessuna di esse. E continuo ad essere così: sfuggente, mutevole, non classificabile, anche nel nome in sanscrito che mi rappresenta e mi guida.

Il primo nome ha a che fare con la bellezza, e quando l'ho ricevuto ci ho pianto su per un pomeriggio intero, perché essere definita con la parola "bellezza" per me è sempre stata una specie di utopia inimmaginabile. Ne avevo assolutamente bisogno, a un certo punto della mia vita. Mi ha aiutato a fare pace col mio passato, col bodyshaming che subivo da ragazzina, con il senso di inadeguatezza, di rifiuto da parte degli altri, mitigando anche quella sorta di accanita battaglia contro il mio aspetto fisico che ho perpetrato negli anni, soprattutto negli ultimi.
E' stato bello sentirmi definire simbolo di bellezza.

Il nuovo nome, invece, ha a che fare con l'apertura verso gli altri. E' ciò di cui ho assoluto bisogno adesso. Di donare per poter ricevere.

Tutto questo, dunque, è proprio "da me". L'indefinitezza, il cambiamento di rotta, la sensazione di aver sbagliato tutto per poi scoprire che anche l'errore ha avuto un senso, ha avuto un significato.

Boh, di sicuro non mi si può definire noiosa e monotona.

11/10/25

Diciotto e quarantasette

Diciotto sono gli anni che compie oggi questo blog. Diventa maggiorenne.
Possiamo aspettarci che smetta con gli eccessi d'umore adolescenziali, che metta la testa a posto, prenda la patente, inizi a capire cosa vuole essere nella vita. Bello, è proprio un bel traguardo.

Quarantasette sono gli anni che compio io oggi. 
Posso aspettarmi di cominciare ad avvertire i primi sintomi della menopausa, della compromissione di funzioni cognitive, acciacchi e dolori che inevitabilmente aumenteranno di numero e intensità.
Bello, tutto molto bello. Anche se, più che raggiungere un traguardo, io mi sento solo come se stessi varcando la soglia della vecchiaia :-D

10/10/25

Da insegnante

Pochi giorni fa parlavo con una collega delle nostre rispettive esperienze "da allieve", soprattutto da quando siamo anche noi diventate insegnanti.
Io, ad esempio, non ho mai avuto pregiudizi sull'età dei miei insegnanti di yoga. Mi è capitato spesso di praticare guidata da persone più giovani di me, e averne comunque tratto beneficio e insegnamento.

Alcune delle insegnanti di cui parlavamo le abbiamo anche "condivise", magari anche in momenti diversi, e su alcune avevamo opinioni simili, mentre su altre abbiamo vissuto esperienze diverse.
Ma alla fine funziona così: è l'allievo che sceglie il proprio insegnante in base al suo sentire, alla sintonia che sente o non sente.

E allora mi sono chiesta, a distanza di più di due anni da quando ho iniziato in modo ufficiale ad insegnare yoga anche agli adulti, cosa dicono di me i miei allievi. Non tanto quelli che ancora mi seguono, quanto quelli che non mi seguono più.
Troppo noiosa? Parlo troppo? Poco veloce?
Vorrei davvero saperlo.

09/10/25

21 anni fa

Oggi a Torino è una bella e tiepida giornata di sole. 21 anni fa lo era anche a Palermo, ed era il giorno del mio matrimonio.
In genere non ne parlo mai, non ne parlo più, non su questi lidi per lo meno; però dopo tutti questi anni dal suo inizio (e dalla sua fine) oggi voglio condividere una riflessione a riguardo.
Per molto tempo ho sostenuto di non essermi mai pentita di aver sposato mio marito, perché diversamente non sarebbero mai nate le mie (nostre) figlie; oggi mi sento di correggere questa falsa convinzione: ho maturato la consapevolezza di quanto fosse ipocrita e vagamente pericolosa quella frase, deresponsabilizzante nei miei riguardi e rischiosamente gravosa nei confronti delle ragazze. Come se fosse loro il peso di dare un senso e una ragione d'essere a ciò che è stato e che poi non è stato più.
Quindi no, non rimpiango di essermi sposata, né di essermi sposata con lui. Perché lo volevo. 21 anni fa io lo volevo. A prescindere da tutto ciò che c'è stato dopo. E non me ne sarei pentita nemmeno se non avessimo avuto figli.
Oggi io non sarei quella che sono, se 21 anni fa non mi fossi sposata con lui.
Certo, probabilmente molte cose sarebbero diverse, ma sarebbero anche migliori? Non è dato saperlo.
Negli ultimi 12 anni ho vissuto male questo giorno, con un grande senso di delusione e sconforto, rabbia che ho soffocato, tristezza che ho nascosto e confuso con frasi e convinzioni ipocrite.
Oggi no.
Oggi voglio prendere per mano quella ragazza felice e fermamente convinta di stare per iniziare la parte più bella della sua vita, portarla all'altare e farle una carezza.
No, non le direi nessuna frase "epica", solo una carezza. Dopo 21 anni me ne sarà grata.

07/10/25

Molto bello, sì

Dopo anni di psicoterapia, counseling e lavori introspettivi vari, è bello iniziare un nuovo percorso con un nuovo terapeuta e scoprire che finora ho solo scalfito appena la superficie di quel grande marasma che c'è dentro di me e di cui probabilmente non verrò mai a capo.

Perennemente in terapia, ecco come dovrei stare, mannaggia a me.

06/10/25

In anticipo

"Buongiorno, sono la maestra di yoga, ho appuntamento con la maestra Anna, ma sono in anticipo"
"Ah, va bene, vado ad avvisarla"

...

"Ciao Lucy!"
"Ciao Anna, sono arrivata un po' in anticipo..."
"Sì, ma di una settimana"
"..."
"..."
"Non dovevo venire oggi?"
"Eravamo d'accordo per lunedì 13"
"E oggi che giorno è?"

Questo per dire come sono messa prima ancora di iniziare a fare le lezioni in tutte le scuole.
A maggio non ci arrivo.

05/10/25

Riflessioni sul compleanno

Ho assistito allo scambio delle promesse nuziali durante un rito civile di matrimonio. Non conosco nessuno dei due sposi, ma l'ho trovato estremamente emozionante, in particolare le parole che ha pronunciato lei.
"Comincio dall'unica promessa che non potrò mai mantenere, cioè quella di festeggiare il tuo compleanno come se fosse un giorno normale. Non potrò farlo perché non posso non festeggiare il giorno in cui tu sei nato".

Ecco, guarda caso si avvicina il mio compleanno e - onestamente ci penso già da un po', in realtà - ho fatto alcune riflessioni a riguardo, una delle quali si riallaccia alla frase della sposa.

Io ho sempre amato il mio compleanno, perché se c'era un giorno in cui la mia famiglia mi faceva sentire veramente amata era proprio quello. Abbiamo sempre organizzato feste in casa, con tutti i miei compagni di scuola, gli amici, i figli degli amici di famiglia, i vicini di casa. E addobbavamo il salotto di casa coi palloncini, e mia madre preparava i panini con il prosciutto e quelli con la nutella, e poi i vassoioni enormi di arancine, calzoni e pizzette. E la torta con la frutta e la crema. E i giochi, la musica, il karaoke, lo show delle barzellette. Il pomeriggio trascorreva veloce e divertente, pieno di risate e di regali.
Io adoravo il mio compleanno.

Poi, dopo la seconda o terza media, abbiamo smesso. Sono diventata un'adolescente cupa, sfigata, disadattata. Non avrei avuto nessun piacere ad invitare a casa quei compagni che mi mettevano a disagio a scuola. Forse facevamo una torta per merenda con i figli dei vicini di casa, o con qualche amico di famiglia, ma niente di che.

Ho ripreso a sentirmi davvero speciale, nel giorno del mio compleanno, quando ho iniziato la relazione con quell'uomo molto più grande di me. Lui sì che mi trattava da regina.
Ce ne andavamo in giro a Palermo tutto il giorno, andavamo a mangiare al ristorante, andavamo in giro per negozi e mi riempiva di regali. Se lo poteva permettere, e comprava il mio amore in questo modo. (Mi ha lasciato in eredità l'odio verso il ricevere i regali, infatti, E' più forte di me, ci vedo sempre una red flag, e detesto ricevere regali).
Poi, con Schroeder, il mio compleanno era un misto tra una giornata particolare e una giornata normale. Festeggiavamo l'anniversario di matrimonio due giorni prima, e il nostro onomastico il giorno prima. Il mio compleanno era l'ultimo di tre giorni di festa consecutivi, quindi non veniva considerato più di tanto. Eravamo già satolli di torte e di regali.
Il primo compleanno da separata l'ho festeggiato a Londra, poi tutti gli altri sono stati giorni quasi normali, lavorativi il più delle volte. Prima di trasferirmi a Torino, andavo a mangiare dai miei genitori, oppure da mia nonna, ma nulla di speciale. Soprattutto da quando ho iniziato la relazione con l'Ingegnere. Lui era proprio allergico ai festeggiamenti, suoi e degli altri. Non voleva proprio che si menzionasse il suo compleanno e le volte in cui ho provato a festeggiarglielo lui lo ha sempre sminuito quasi con fastidio, per lo meno i primi anni. Poi ha iniziato ad apprezzarlo, ma la sua incapacità di vivere con gioia e piacere, ha sempre reso goffi tutti i suoi tentativi di festeggiare e di festeggiarsi. Non c'era proprio portato, lui, per gli sprazzi di felicità. (Infatti è grazie a lui che adesso odio fare regali, non mi ritengo più capace di immaginare qualcosa di concreto e tangibile da regalare agli altri, ho sempre paura di comprare qualcosa che non piace).

E arriviamo, quindi, alla frase della sposa: "Non posso non festeggiare il giorno in cui sei nato", perché è stato quello il giorno più importante della sua vita, anche se all'epoca non era ancora nata.

Quella frase mi ha fatto tornare in mente una seduta di psicoterapia di coppia, fatta proprio con l'Ingegnere, qualche giorno dopo i nostri compleanni. Sì, perché il suo compleanno cade pochi giorni dopo il mio.
Quell'anno avevamo deciso di andare per il fine settimana in una città che avevamo sempre visto di passaggio, ma non avevamo mai visitato.
Il mio compleanno era stato il mercoledì, il suo era il sabato successivo, quindi tecnicamente in quel viaggio ricadeva il suo di compleanno, e non il mio.
Ricordo che, con grande orgoglio, lui disse alla psicologa che eravamo andati a Genova a festeggiare il suo compleanno. L'orgoglio derivava dal fatto che questa cosa dimostrava che stava cambiando, adesso si stava umanizzando e convertendo alle abitudini umane. Guardi, dottoressa, come sono stato bravo, adesso ho festeggiato il mio compleanno.
La dottoressa mi guardò (poveretta, mi guardava sempre... io ancora me li sogno i suoi sguardi commiseranti) e chiese cosa avessimo fatto, quindi, per festeggiare il mio di compleanno.
Niente.
L'ingegnere rispose che quel giorno lui aveva delle riunioni difficili al lavoro, e non aveva potuto né assentarsi, né uscire prima, quindi la torta, per spegnere le candeline dopo cena, me l'ero comprata io.
Mi viene da ridere.
Proprio mentre scrivo sto ricordando lo sguardo della dottoressa mentre mi chiede: "La torta se l'è comprata lei, Lucy?" e quello che non ha detto ad alta voce era sicuramente qualcosa del tipo "E le sembra normale tutto questo? Le sembra ancora sopportabile?". Io non me li dimenticherò mai quei suoi sguardi.
Credo che sia stata la seduta dove più di tutte non è riuscita a mascherare appieno il suo disappunto e a mantenersi neutra. Ci fece tutto un discorso su quanto sia importante festeggiare l'uno il compleanno dell'altro, in una coppia, esattamente per quei motivi che elencava la sposa.
"Io festeggio il giorno in cui sei nato, perché se tu non fossi nato io non avrei mai potuto incontrarti e amarti ed essere amata da te".
Sì, quella cosa che la torta me l'ero comprata io da sola, credo che l'abbia fatta sbarellare irrimediabilmente.
Ma il bello è che io non ci facevo caso. Non ci facevo più caso. 
Stavo così male, in quegli anni, che io stessa non ci trovavo nulla da festeggiare nel mio compleanno. Però ci siamo lasciati 5 mesi dopo.

Ecco perché il discorso della sposa mi ha colpito così tanto.
E fai bene, ragazza mia. Ma non perché è vero che il giorno più importante della tua vita è stato quando è nato tuo marito, quella è retorica da promesse nuziali, ma perché comunque glielo hai detto. Perché anche lui lo sa che non è vero, ma è bellissimo sentirsi dire: benedico il giorno in cui sei nato. Credo sia una dichiarazione d'amore meravigliosa.

Non li conosco e chissà che ne sarà di loro, ma fosse anche solo per l'emozione profonda che mi ha dato assistere al loro scambio di promesse, io tifo per loro, perché possano vivere insieme, in serenità, a lungo.

03/10/25

Scritturabile come testimonial per documentari

"Ciao, io sono Manuel, il videomaker. Ti chiedo solo il permesso di microfonarti, poi tu fai esattamente quello che faresti se io non ci fossi. Io sarò solo un osservatore silenzioso. Alla fine ti farò una breve intervista e poi avremo finito".

Dallo scorso anno partecipo con lezioni di Yoga per bambini e per adolescenti a un progetto gestito da un'altra associazione, molto più grande e "scafata" della mia. Il progetto è mirato per bambini e ragazzi che soffrono di un certo disturbo neuropsicologico molto più diffuso di quel che sembra (ne ho incontrati parecchi nelle scuole, ma anche una bambina che veniva a fare yoga con me agli albori della mia carriera).
Pur non conoscendomi, mi hanno contattata perché probabilmente a Torino sono la più famosa insegnante di yoga per bambini. Non me lo spiego diversamente.

(Sto pensando alla categoria "La scrittrice di fame mondiale"... forse potrei aggiungere a questo blog la categoria "La famosissima e squattrinata insegnante di yoga per bambini", non so...)

Dicevo.
L'associazione che realizza questo progetto è molto più grande, strutturata e "scafata" della mia, quindi organizza un convegno di presentazione dei risultati, visto che i finanziamenti li ha ricevuti dalla Regione, dunque hanno incaricato un'azienda di produzione di contenuti per fare un vero e proprio documentario.
All'interno del documentario ci sarà una rassegna di tutte le attività del progetto, compresi i miei due corsi di yoga per bambini e di yoga per adolescenti.

Quindi oggi pomeriggio è arrivato Manuel, con un casco da moto e uno zaino pieno di strumenti per riprese audio e video, e ci ha filmati. Alla fine mi ha anche intervistata, e mi ha fatto i complimenti perché tra tutti i precedenti sono stata la più sintetica, precisa e centrata nel rispondere alle domande, spiegare cosa faccio e perché e raccontare l'esperienza.

Lo aggiungo al curriculum: se avete bisogno di un testimonial che racconti in un documentario quello che fate, il perché lo fate e alcuni aneddoti interessanti, io sono scritturabile.

02/10/25

Cose da non dire a un'insegnante di Yoga #12

"Tutto questo è bellissimo! Ma voi quindi vi esercitate così, tanto per, oppure poi vi esibite?"

Non riesco nemmeno a commentare, sappiate solo che sono morta dentro in quel preciso istante.

01/10/25

Come sprecare un'ora e mezza

"No, Lucy, dopo quella che si è lamentata perché il numero di cellulare che aveva indicato nel modulo per la creazione della sua scheda sul sito era stato effettivamente pubblicato sul sito sono uscita, non ce l'ho fatta più"

La mia collega si è arresa pochi minuti prima di me. Io ho resistito fino a quando è stato necessario specificare di contattare la scuola prima di presentarsi per l'attività, di essere puntuali e di rimettere in ordine l'eventuale materiale scolastico utilizzato.

Abbiamo partecipato al webinar online dedicato alle attività extracurriculari che le scuole possono richiedere e che vengono offerte dalle associazioni.
Io non ho ancora capito se siamo noi particolarmente brave oppure se davvero fuori c'è tutto un mondo che va a rotoli.

29/09/25

Dentro

Ho iniziato ufficialmente la gestione totale del centro yoga che ho iniziato a frequentare da allieva. Ho ricevuto il passaggio di consegne, ho tenuto le prime due lezioni.

Non era la prima volta, ovviamente. Già lo scorso anno avevo un'intera classe, ma non avevo mai avuto un intero centro. Ho conosciuto allievi che non avevo mai incontrato perché seguivano lezioni diverse da quelle che seguivo e tenevo io.

Ci sono dentro. Speriamo che non mi buttino fuori.

27/09/25

La migliore

Ho ricominciato a lavorare con le famiglie.
Quasi non mi ricordavo più come si fa. Ero tesa e nervosa, mi tremava lievemente la voce, ho dovuto sbirciare un paio di volte la scaletta perché non me la ricordavo a memoria.
Poi ho letto gli albi illustrati che avevo portato, e mi sono rilassata, mi sono ritrovata, perché in effetti quello della lettura è sempre stato il momento in cui mi sono sentita più capace e competente.

Poi una bambina di 4 anni si è alzata ed è andata a toccare senza permesso le mie cose, la chitarra, il Meddy Teddy, mi ha scombinato le pagine del quaderno delle lezioni e si è messa a picchiare ripetutamente sulla campana tibetana.
Io non l'ho uccisa, e sono riuscita a non uccidere nemmeno sua madre che, con un'invidiabile nonchalance, si disinteressava completamente a quello che faceva.

Sono la migliore insegnante di yoga per bambini e famiglie sulla faccia della terra.

26/09/25

Una speranza

La psicologa di Angelica è incinta.

Quando ce l'ha detto ho pensato che se lei, che probabilmente ha visto e sentito un ampio campionario di problematiche, criticità, comportamenti disfunzionali e casini vari che investono le famiglie - tutte le famiglie - ed ha comunque deciso di provarci pure lei, ecco, forse significa che c'è sempre una speranza.

25/09/25

La sindrome dell'impostore

In tutti i millemila percorsi di psicoterapia, counseling ecc che ho seguito in vita mia (e - li ho contanti - sono davvero tanti: quattro terapie individuali, una terapia di coppia, un percorso di counseling) una cosa che ho capito è che il primo passo verso la "trasformazione" (ché "guarire" non si può, non si può mai) è dare alle cose il proprio nome. 

La "sindrome dell'impostore" è quando pensi di non meritarti le cose che hai, quando vivi e dai il meglio di te sottostimandolo, credi di occupare un posto troppo in alto per quello che sei e che fai, e stai con la sensazione costante che prima o poi qualcuno se ne accorgerà. E poi saranno ca##i.

Ecco, io la sindrome dell'impostore non ce l'ho sul piano professionale, ché so benissimo che mi sono guadagnata e meritata ogni millimetro del percorso che ho fatto e che continuo a fare, studiando e sperimentando, sbagliando e correggendomi, provando e riprovando.
Sono una brava insegnante di yoga per bambini e anche per gli adulti, ho una formazione completa e varia che continuo a potenziare e ampliare.
Sono brava a gestire burocraticamente piccole strutture culturali e ricreative, so gestire i rapporti con le istituzioni, coi privati, coi fornitori e con i clienti. Persino con i condòmini ostili.

E' il mio cuore che non funziona più.

La sindrome dell'impostore io ce l'ho sul piano personale e sentimentale. Non penso di meritare l'amore che ricevo. Perché, nonostante io abbia una buona stima di me, non mi amo. Mi piaccio, ma non mi amo. In pratica mi friendzono da sola.
E nella teoria lo so che finché non sarò io la prima ad amarmi sarà impossibile riuscire a percepire l'amore degli altri, ma la teoria è una cosa, la pratica è un'altra.

Penso di non meritare l'amore che ricevo. E questa cosa mi sta avvelenando l'anima.

24/09/25

Tanto poi ricrescono

E' quello che mi dico ogni volta che mi taglio i capelli e non vengono esattamente come avrei voluto, ossia quasi sempre.

Tanto poi crescono.
Ed è vero che crescono, e forse a me crescono anche più velocemente che ad altre, ma non sempre è sufficiente dirselo per crederci veramente, e stamattina guardandomi allo specchio è stata dura resistere alla tentazione di provare ad aggiustarli io. Se non l'ho fatto è solo perché ho un'altra frase che mi accompagna costantemente, e a questa invece credo fermamente: statti ferma che fai danno.

23/09/25

Dichiarazione di stima

"Perché non è che tu sei l'unica insegnante di yoga che conosco... ma sei l'unica a cui mi sento di affidare il mio centro".

La mia collega, insegnante di yoga nel centro che frequento da allieva, dopo avermi progressivamente chiesto dapprima di sostituirla saltuariamente, quindi dopo avermi affidato un corso, dal mese prossimo mi affida tutto il centro per intero, perché alcune vicissitudini personale la portano a scegliere tra il chiuderlo o affidarlo a qualcun altro.
E a scelto me.

Non ho un "centro yoga tutto mio", ma ci lavorerò tutti i pomeriggi, mi gestirò le iscrizioni, i pagamenti, le presenze.
Credo sia un grande passo avanti sul mio piano professionale, e ne sono felice soprattutto per quella enorme dimostrazione di stima che ho ricevuto.
 Credo che festeggerò, appena mi passa il panico.

22/09/25

La vita dentro e fuori

Ci sono voluti due giorni interi per riprendere il filo della mia vita al di fuori dell'ashram che mi ha ospitato.
L'esperienza è stata grandiosa, anche se molto intensa e stancante. 
Da oggi ho ripreso ufficialmente a lavorare, al momento solo in backoffice.
Mentre ero lì ero convintissima che, una volta tornata a casa, mi sarebbe mancata quella vita così pacifica e a contatto con la natura, pur con la fatica, ma che sento molto vicina al mio concetto ideale di "vita".
Svegliarsi alle 4.50 per la meditazione, e poi il bagno al mare (che loro chiamano "oceano"), e poi l'altra meditazione, e il lavoro nell'orto e nel giardino, e il servizio di pulizia e riordino, e ancora la meditazione, e la musica condivisa, e le passeggiate, e i gatti da coccolare e le stelle da osservare... E le persone. Persone con cui ho trovato molta sintonia (con alcuni di più, con alcuni di meno), e la sensazione di sentirmi "nel mio posto".
Quando la macchina che ci ha accompagnato in stazione si è accesa, mi è scesa una lacrima.

Tornando a casa, però, al caotico mondo "fuori", dopo un viaggio che manco Ulisse verso Itaca... alla fermata del bus nel bronx di Torino a notte fonda, le prime braccia che mi hanno accolto sono state quelle del Capitano che è venuto a prendermi, e proprio lì, in quell'abbraccio avvolgente, ho sentito che sì, la vita in ashram è stupenda, ma anche qui nel mondo esterno ho una vita stupenda, e mi sono resa conto solo in quell'istante di quanto mi sia davvero mancata mentre non c'ero.
Quando ho rivisto e riabbracciato le mie figlie, ho capito che ho bisogno di loro almeno quanto loro ne hanno ancora di me.

Alla gattina ho portato una ghianda raccolta nel bosco. Chissà quanti profumi nuovi ci ha potuto trovare sopra. Ci ha giocato per tutta la notte.

Mi sono sentita davvero grata per quello che ho. Per quello che ho a casa, soprattutto, e anche per quello che ho potuto vivere al di fuori di essa.

19/09/25

Il ritorno

Il progetto è finito, con grande successo di pubblico e di critica. 

Iniziamo il lungo rientro verso casa.

18/09/25

In ashram danese 7/7

Lungo uno dei corridoi c'è questo murales particolare. Ci sono diversi murales dentro l'ashram, ma questo è proprio particolare, sa vagamente di Kung-fu Panda. Non so chi lo abbia fatto, se qualche ospite occasionale della struttura o uno dei residenti.
Di sicuro chi ha messo lì il cuscino preferito di Satya, uno dei due gatti del luogo, è stato proprio un genio.


 

17/09/25

In ashram danese 6/7

...e di cibo buono!


 

16/09/25

In ashram danese 5/7

 Questo luogo è pieno di bellezza.






15/09/25

In ashram danese 4/7

 

Oggi ho tenuto una lezione di hatha yoga per i miei colleghi di corso. Ovviamente in inglese.
E' andata bene: avevo studiato.


14/09/25

In ashram danese 3/7

 Oggi il bagno al mare lo abbiamo fatto al pomeriggio, perché siamo andati tutti insieme approfittando delle previsioni meteo favorevoli.

Sì, da queste parti, quando il cielo è di questo colore, le previsioni meteo sono favorevoli quindi è il momento buono per andare al mare.



13/09/25

In ashram danese 2/7

 

C'è uno stagno qui fuori dall'ashram. Stamattina ho fatto due passi dopo colazione, prima di iniziare le attività, e avvicinandomi allo specchio d'acqua per fare questa foto ho probabilmente disturbato un airone cenerino che si è alzati in volo proprio davanti a me.
Non ho fatto in tempo a riprenderlo o a fotografarlo. E' stato un dono della natura che potrò solo conservare nella memoria.


12/09/25

In ashram danese 1/7

Mi trovo in Danimarca da due giorni e ci resterò per altri 6. Non sono qui in vacanza, ma per una formazione "non convenzionale". Si chiama proprio così, il certificato che ci daranno alla fine è di "Unconventional education". 
Semplificando al massimo: la mia scuola di formazione di yoga per bambini partecipa a un progetto di Erasmus+. Ecco.

Sono qui da appena 24 ore ed ho già:
- fatto due ore in bici di passeggiata rilassante che in realtà è stata una corsa contro la pioggia (che alla fine abbiamo preso lo stesso), pedalando a fatica su una bici con le marce che non funzionano benissimo, con discese ma soprattutto salite infinite e attraversando un bosco fittissimo di faggi, che sembrava che da un momento all'altro avremmo potuto scorgere il lupo che adescava cappuccetto rosso.
- ritrovato l'energia potente del kiirtan e della meditazione di gruppo in presenza
- spiegato a un'austriaca la differenza tra "arancina" e "arancino", in inglese ma stando a lei in modo comprensibile
- fatto il bagno al mare, prima dell'alba e totalmente nuda, con 10° fuori dall'acqua e chissà quanti dentro, insieme ad altre 4 donne nude (3 delle quali fanno quotidianamente questa pratica)
- raccolto delle bellissime ossidiane, che va a finire che ci sono più ossidiane sulle spiagge del mare del nord che non a Lipari

E siamo solo al primo giorno.

10/09/25

Manco da una settimana

Sono stati giorni pieni. 
Pieni di lavoro, pieni di cose da fare, pensare, pianificare, organizzare.

E non è che non avrei avuto cose da scrivere, tutt'altro. Mi sono successe un paio di cose anche abbastanza "forti"; episodi che mi hanno turbato non poco e che non ho avuto possibilità di metabolizzare come avrei voluto.

Mi manca Rosanna. Mi manca quell'alter ego che era la mia Amica Palermitana.
Certe cose non riesco a scriverle qui. Non mi è nemmeno sufficiente scriverle sul diario cartaceo dove scrivo le peggio nefandezze. Ho bisogno di un confronto, di un interlocutore.
Ci sono cose che vanno dette ad alta voce per essere elaborate.

A volte penso che vorrei tornare in terapia, ma non credo che potrò permettermelo in tempi brevi. E poi, forse, non è proprio di una terapia che ho bisogno. Avrei solo bisogno di un'amica, di qualcuno con cui sentirmi libera di parlare senza essere giudicata.
E lei no, non era più disposta a farlo. A non giudicarmi, intendo.

Che poi chissà perché conosco centinaia di persone ma non mi sento di confidarmi e aprirmi con nessuna...

03/09/25

Il professor Biondino

Lo chiameremo Il Biondino: è un bambino di quasi 5 anni che frequenta il nostro centro estivo; aveva già frequentato lo scorso anno, facendoci vedere i sorci verdi, ma proprio di tutte le sfumature di verde, ed è tornato anche quest'anno. E' cresciuto, ma è rimasto uguale.
Dal basso della mia ignoranza credo che abbia delle capacità cognitive almeno il triplo più sviluppate dei suoi coetanei, e ci scommetterei qualunque cosa che riuscirebbe a far mangiare la polvere anche a molti bambini di 7-8 anni. Ha una proprietà di linguaggio impressionante, un lessico sconvolgente, una capacità di riassumere e raccontare con dovizia di particolari non soltanto le esperienze che ha fatto (quello è quasi facile), ma soprattutto storie che gli sono state raccontate o documentari che ha visto. E anche nella produzione narrativa, quando deve inventare una storia, approfondisce la psicologia e lo stato d'animo dei suoi personaggi in un modo che secondo me risulterebbe difficile persino a molti adulti. A 4 anni.
Però ha una disregolazione emotiva preoccupante. Non è nemmeno il classico bambino che dà di matto quando si arrabbia, no, anche quello era facile. Lui colpisce con precisione e crudeltà, con ragionata cattiveria nell'intento di fare male laddove fa più male col (suo) minore sforzo possibile. Una specie di torturatore dell'Inquisizione. A 4 anni.
Gli ho visto fare cose a un bambolotto (per fortuna) che mi hanno fatto pensare che potesse essere il caso di dire ai genitori che se stanno pensando a un fratellino o sorellina forse è meglio che desistano.

Come è consuetudine nella nostra coppia di fatto, la mia collega ed io, i bambini "impegnativi" me li smazzo sempre io, sia perché sono fisicamente quella più forte, sia perché credo di essere quella che ha un minimo (ma proprio minimo) di competenza teorica in più.
In soli 2 giorni l'ho dovuto contenere fisicamente 7 volte per allontanarlo dal bambino vittima di turno dei suoi pizzicotti sulle palpebre, o dei suoi calci sulle orecchie, o sul cui viso si siede chiudendo la bocca con le chiappette e le narici con le dita. A 4 anni.

Ma andiamo a noi.

Al parco giochi la prima volta che intervengo per contenerlo e portarlo via dal gruppo è perché ha dato un calcio in fronte alla bambina che spingeva l'altalena, perché gli aveva detto che se lui continuava a chiamarla "Topina" lei non lo spingeva più.
Tralascio la conversazione che ne è scaturita a riguardo, è una perla che serberò per me, ma gli prometto che lo lascerò tornare tra gli altri a giocare solo se mi promette a sua volta che non picchierà più nessuno. Lui promette, ma io pretendo la famigerata Promessa Col Mignolino, lo spauracchio degli spergiuri, la Promessa che se non la mantieni ti cade il dito mignolo.
Lui è la prima volta che ne sente parlare, ma accetta. Conoscendolo gli racconto che il bidello della scuola dove andavo io da piccola aveva una mano dove gli mancavano due dita, proprio perché da bambino aveva fatto due promesse che non aveva mantenuto. Io ce l'avevo davvero un bidello con una mano mutilata, ma era un reduce di guerra e gli era scoppiata una granata in mano, ma vabbè.
Lui si incuriosisce e mi chiede di mostrargli una foto. Gli rispondo che non sono sicura di avercela, si tratta di cose di tanti anni fa, di sicuro non ce l'ho lì al parco giochi, forse l'ho nel computer, poi magari quando torniamo in ludoteca la cerco. A questo punto avrei già dovuto accorgermi dell'errore, ma quando si ha a che fare con bambini e con esseri umani in generale non si è mai "arrivati", c'è sempre una nuova lezione da imparare, un nuovo errore da non ripetere ecc.

Passano 20 minuti e Il Biondino picchia una bambina che stava dietro di lui in fila per arrampicarsi su un gioco. Lo vado a recuperare e lo allontano dal gruppo e mentre lo tengo in braccio (scalciante) noto che improvvisamente si ferma e si guarda le mani. Mi siedo sulla panchina tenendolo in braccio e vedo che si sta contando le dita. "Sono ancora tutte!" mi dice trionfante.
A questo punto rincaro la dose: "Guarda che non cade subito il mignolo. Il bidello della mia scuola ci raccontava che quando non aveva mantenuto la promessa, subito non gli succedeva niente, ma poi l'indomani mattina si svegliava che gli mancava un dito".
Il Biondino accusa il colpo con malcelata preoccupazione, ma insiste sulla foto, vuole vedere questa storpiatura della realtà; io insisto su come non sia affatto gentile picchiare gli altri e insomma - a farla breve - lo accompagno a chiedere scusa, lo reinserisco nel gruppo e fine.

Arrivati in ludoteca, ogni 5 minuti viene a chiedermi se ho trovato la foto del bidello. 
Ogni 4 minuti io mi sbatto la testa al muro chiedendomi come diamine mi sia venuto in mente di raccontare una cosa del genere proprio a lui, perché era prevedibile che non me l'avrebbe lasciata passare.

Apro il computer, vado su chatgpt e gli chiedo di crearmi l'immagine di un uomo anziano con una mano integra ed una con solo 3 dita. Non ho voluto cercare su google perché ero sicura che avrei trovato solo roba vera, drammatica, cruenta e splatter, e ci mancava solo questo.

L'intelligenza artificiale, però, è pure lui meno sveglio del Biondino stesso e mi fa l'immagine di un vecchio con 4 dita. Apro photoshop e l'altro dito glielo cancello io.


Il Biondino se l'è bevuta. Gli ho detto che il mio bidello si chiamava "il signor Salvatore". Lui vuole anche perché io gli racconti in che modo ha perso le dita, vuole sapere quali erano le promesse che non aveva mantenuto, ma a questo punto io - avendo imparato la lezione - gli dico che non ce l'ha mai voluto raccontare.

Quando si ha a che fare con bambini non si è mai "arrivati", c'è sempre una nuova lezione da imparare, un nuovo errore da non ripetere e i migliori trainer sono proprio loro: i bambini. Per tutti gli anni a venire potrò dire che per me Il Biondino è stato una specie di professore di un master specialistico.

02/09/25

Otto anni fa

Otto anni fa lasciavo la mia casa per costruirne una nuova.

A sentire il dolore residuo sembrano passati otto giorni. 
A guardare tutto quello che ho fatto e disfatto, costruito, demolito, reinventato e ricostruito sembrano passati ottant'anni.

Fa e farà ancora malissimo, ma non tornerei sui miei passi nemmeno per un istante. Non ho mai rimpianto quella decisione, neanche nei momenti più difficili.
E' la mia vita, ed è fatta anche di momenti difficili e di scelte dolorose, come le vite di tutti.


01/09/25

La puntura del mirtillo

Per tutta una serie di collegamenti, mi ritrovo a parlare coi bambini del centro estivo del sangue che fuoriesce dalle nostre ferite, sbucciature, graffi, punture di insetti grattati con troppa forza ecc.
Di solito, quando parliamo di malanni o infortuni, il passo da "centro per l'infanzia" ad "RSA" è brevissimo, tutti si tirano su pantaloni e maniche per mostrare croste e cicatrici, lividi e tutti i segni di dove si sono fatti male.
Si avvicina Alice, 5 anni, tira su la manica della maglietta e mostra la parte alta del braccio mostrando un microscopico puntino e dicendo "Maestra a me il sangue è uscito da qui".
- Cos'era? Una puntura di zanzara?
"No, è stato il mirtillo"
- Il mirtillo?

Si avvicina Luna, di 4 anni, sbracciandosi pure lei e mostrando il braccio: "Sì, anche a me il mirtillo mi ha fatto uscire il sangue! E' stata la puntura"

Ci rifletto. Penso alle spine dei rovi, ma che io sappia le piante di mirtillo non hanno spine. Mi dico che forse si riferiscono alle more, ma prima ancora che possa indagare meglio Alice spiega: "Sì, esatto. La puntura del mirtillo che mi ha fatto la dottoressa"

Ok, tutto chiaro. Il vaccino MPR. Magari lo ribattezziamo "Mirtillo - Patatine - Rosellina" :-D

31/08/25

Lucy goes to the mountain

Cieli azzurri, aria fresca, immersione nella natura, cibo buono, acqua che scorre, vita che fluisce e qualche parentesi di yoga.
E piedi a mollo a qualsiasi fiumiciattolo nei paraggi.

Sono una creatura del mare che ha capito il modo con cui interfacciarsi con la montagna. Ho messo da parte la paura e la diffidenza che mi avevano accompagnato finora, trasformandoli in cauto timore reverenziale; ciò che ho ricevuto in cambio è stata una delle esperienze migliori degli ultimi tempi, in cui mi sono sentita libera ma protetta, forte ma minuscola, in pace con me stessa e tanto, tanto grata.



25/08/25

Il dolore

Io soffro di dolori vari e costanti che, tra fasi acute e fasi latenti, mi accompagnano ormai da alcuni anni.
I miei dolori sono sempre stati eclettici e variegati, hanno investito un po' tutte le parti del mio corpo, specialmente le articolazioni, ma la loro area preferita è quella che va dalla mano destra alla spalla e al collo.
Sindrome (borderline non operabile) di tunnel carpale; rizoartrosi, epicondilite, episodi infiammatori acuti con edema, infiammazione della cuffia dei rotatori, contrattura del trapezio, più probabilmente qualcos'altro che non ricordo.

Nessuno ha mai capito che ca##o ho, nessun medico, di medicina tradizionale e non. Sono tante piccole cose che si sommano, si condizionano a vicenda e soprattutto provando ad aggiustarne una se ne sfascia un'altra, come mi è probabilmente successo trattando la rizoartrosi e finendo per innescare l'infiammazione di alcuni muscoli della spalla perché ho inconsciamente smesso di usarne altri.

Io ritengo di poterci convivere. Mi sono ormai rassegnata già da un po'. Non ho nulla di sufficientemente grave tale da richiedere un intervento medico vero e proprio, quindi va bene, lo accetto e basta.

C'è una cosa, però, che ho capito di non tollerare, ed è proprio il dolore in sé.
Sono disposta ad accettare di non poter più fare certe cose, di dovermi esercitare con costanza per tenere attivi quei muscoli che mi aiutano a mantenere stabili le articolazioni lasse, sono disposta ad indossare tutori durante il giorno e durante la notte, sono disposta a stare attenta, ad essere cauta, a concentrarmi prima di fare certi movimenti per essere sicura di farli in sicurezza, ma il dolore non lo sopporto proprio più.
Non sono più disposta a sopportare le fasi acute di questa cosa che non si capisce che cosa è.
Il dolore fisico mi annebbia proprio la mente, condiziona i miei pensieri, le mie decisioni, la mia meditazione.
Mi sono accorta che invece di ripetere in mente il mantra che mi è stato assegnato, me ne sto lì a sentire il dolore.

Ecco, avessi la possibilità di esprimere un desiderio, chiederei di non sentire dolore.