Il terzo volume della "trilogia fantastica" di Camilleri.
A differenza dei primi due (Maruzza Musumeci e Il casellante), qui di veramente "fantastico" c'è ben poco, è solo un sospetto, alla fine, qualcosa di inspiegabile ma che non turba la realtà, come lo faceva Maruzza, che era *una vera* sirena, o la moglie del casellante che stava *davvero* trasformandosi in albero.
E' una fiaba. Niente tragedie, niente miseria... semplicemente il cambiamento interiore del figlio di un pescatore che, per una strano caso del destino, viene portato tra le montagne a fare il capraro.
L'elemento soprannaturale c'è, ma è meno evidente e manifesto, e sinceramente, alla fine, è anche stucchevole e poco comprensibile nella sua evoluzione.
Camilleri stesso dice, sulla fascetta azzurra che decora il libro, che in questa trologia c'è il meglio di sè.
Bah...
Senza dubbio, come scrittore, dev'essersi divertito di più a scrivere questa trilogia che non gli ultimi Montalbano, ma dire che "c'è il meglio di me", no, non sono d'accordo.
Il meglio di Camilleri è "Il re di Girgenti", è "La concessione del telefono", "La scomparsa di Patò"...
Avviso ai naviganti: è scritto tutto, ma dico tutto in dialetto fitto fitto. Voi di oltre lo stretto non ditemi che non vi avevo avvertito! :-)
Nessun commento:
Posta un commento