"Grazie, Signora del Quarto piano"
"Sono gemelli?"
"Già"
"Ma sono un maschio e una femmina?"
"Esatto"
"Certo, è faticoso tirarli su insieme"
"Abbastanza, immagino"
"Comunque complimenti, son proprio belli"
"Grazie. Lo riferirò ai loro genitori, visto che io non sono la mamma, io li accudisco soltanto"
"Oh, lei è la tata! Ma che bel lavoro!"
"Si, grazie". Dopo di che sono tornata a casa e mi sono cambiata gli abiti che odoravano della c@cc@ che i figli degli altri fanno strabordare dai loro pannolini, i pantaloni sporchi di biscotto Plasmon spalmato con le sante manine dei figli degli altri e rappreso, e la felpa striata del moccio che i figli degli altri mi strusciano addosso quando li prendo in braccio per consolarli quando piangono. Poi mi sono sdraiata sul divano per alleviare un po' del mal di schiena che mi accompagna negli ultimi tempi. Bel lavoro.
(Non mi sto lamentando. Ho un lavoro che mi permette di vivere anche un millimetro al di sopra della soglia minima della sopravvivenza e non posso che ringraziare tutti gli dei del cielo, della terra e del mare per averlo trovato. Tuttavia, a fine giornata e settimana lavorativa, non riesco proprio a sorridere a chi, senza sapere di cosa parla, mi fa i complimenti per quello che reputa un bel lavoro. Per carità, sempre meglio che in una fabbrica lager o in un magazzino Amazon, ma... No. Non è un *bel* lavoro. È un lavoro. Punto)