Ieri ho scoperto che Angelica mi aveva tenuto nascosto un fatto perché aveva paura di dirmelo, aveva paura di come io avrei reagito.
E poco importava se, parlandone insieme ieri, ha ammesso di aver immaginato una mia reazione che lei stessa riteneva poco verosimile e probabile. Aveva paura di dirmelo, aveva paura che io mi arrabbiassi, aveva paura che io la punissi.
Chi mi conosce sa che è una cosa che non ho fatto mai e mai farei, eppure Angelica ne aveva paura.
Questo dialogo con mia figlia mi ha portato a fare una duplice riflessione.
Qualche anno fa anch'io ho taciuto un fatto a mia madre, perché avevo paura di come avrebbe reagito. L'unica differenza sta nel fatto che l'ipotetica reazione di mia madre a riguardo sarebbe stata probabilissima e verosimile (e negli anni successivi ne ho avuto conferma), ma la "paura" era identica.
La riflessione, dunque, è questa: i modelli si trasmettono di genitore in figlio in maniera automatica, inconsapevole e inesorabile.
Non importa la differenza di personalità, di storia personale di ciascuno, gli eventuali precedenti analoghi ecc. Nonostante Angelica sapesse che io non la punisco, ne aveva comunque paura.
Il modello si trasmette così com'è, possono cambiare la materia, la sostanza, i dettagli, ma la forma è quella, dobbiamo rassegnarci.
Esserne consapevoli, però, ci aiuta nel riconoscerlo il meccanismo e, se non si riesce a scardinarlo, quanto meno si può affrontarlo e "digerirlo", come ho fatto io ieri con Angelica.
Seconda parte della riflessione: la paura è un'emozione fondamentale per la nostra sopravvivenza, ci tiene in salvo da tutti i pericoli reali e potenziali. Ci salva la vita costantemente. Se non avessimo paura potremmo attraversare fischiettando un'autostrada, o affacciarci sul limite di un burrone, o lasciarci avvicinare da un serpente velenoso.
E' un'emozione primaria cui dobbiamo essere costantemente grati.
Eppure, quando entra in gioco nelle relazioni con gli altri, fa più danno che beneficio.
Ci fa immaginare scenari anche inverosimili e soprattutto ci blocca. Lo stesso "freezing" che avviene in certi casi davanti a un pericolo reale (che può essere una belva feroce, o un rapinatore che ci punta una pistola contro) si manifesta nella relazione con l'altro, impedendoci di esprimerci, parlare e scoprire se ciò che abbiamo immaginato è reale o no.
Mentre nel caso della belva o del rapinatore, il freezing ci salva la vita, perché una reazione troppo irruenta potrebbe scatenare una controreazione e mettere a rischio la nostra sopravvivenza, nel caso della relazione con l'altro è solo dannosa, crea aree di vuoto, di buio, di disagio.
Bene, la mia perla di saggezza quotidiana l'ho rilasciata nel mondo dell'internet. Per oggi sono a posto.
Ciao.
Nessun commento:
Posta un commento