23/03/18

Faccio bene il mio lavoro

Mi chiama nel tardo pomeriggio, quando sono appena rincasata da un colloquio di lavoro supplementare dall'altro capo della città. 
"Lucy, ti disturbo?"
Prendendo esempio da Verdone rispondo che no, non mi disturba affatto. È il padre dei bambini che accudisco, è il mio datore di lavoro, quello che mi paga lo stipendio, quello che decide se e quando io farò le ferie. No, non mi disturba mai.
"So che domani hai il giorno libero, ma siccome vorremmo andare all'ikea e stare tranquilli, per caso potresti venire qui a casa e stare coi bambini?"
Potrei forse rifiutarmi? No, non posso. È lavoro. È retribuito. È pane.

E così vado. Trovo la mamma dei bambini che aspettava me per uscire, e i due bambini non sapevano e non si aspettavano il mio arrivo. Va bene che hanno 17 mesi, ma sono solo bambini, mica sono scemi, e dopo 7 mesi di una certa consuetudine, se intercorre un cambiamento se ne accorgono. E se ne lamentano.
La madre esce e il maschietto si profonde in una delle scene isteriche meglio scritte e orchestrate per voce e pugni (alla porta, al pavimento, alla tata). Inconsolabile. La sorella lo guarda disgustata per la rozzezza dei suoi modi, suppongo. Non se lo fila di striscio, probabilmente rassegnata alle magre figure che le fa fare questo fratello collerico. Lei sta tranquilla, mi guarda, fa spallucce, mi fa una carezza, si prende il ciuccio e si addormenta.
Lui insiste per minuti e minuti nella sua scena isterica. Non ci provo nemmeno piu ad avvicinarmi perché ho già rimediato un graffio e non penso di essere pagata abbastanza per lasciarmi anche straziare il fisico.
Gli parlo a voce bassa, lo invito ad avvicinarsi, gli chiedo di stare vicino a me e di accoccolarci. Lui è furibondo. Si avvicina e si allontana, rimproverandosi per essersi lasciato sedurre da me e dalle mie promesse. Va avanti per minuti e minuti. Io resto immobile, mi siedo a gambe incrociate in quella posizione che lui predilige per accoccolarmisi addosso. Fa avanti e indietro una decina di volte, poi si arrende.
Si distende sulle mie gambe e, con gli ultimi residui di pianto, mi spiega che è arrabbiato e offeso per quest'inganno, perché non stava nei patti, il giovedì e il venerdì loro hanno le assolute attenzioni della mamma, io ne sono solo un volgare surrogato che possono tollerare solo per tre giorni a settimana, e il venerdì che io me ne stia per i fatti miei, o a interpretare il surrogato di mamma da qualche altra parte.
"Lo so, tesoro mio, lo so che sei arrabbiato", gli dico accarezzandogli la testa, "ma la vita va per i fatti suoi, ed è difficile a tutte le età".
Si calma, borbotta ancora un po' il suo disappunto, poi mi prende la mano e si addormenta.

Ecco, è in momenti come questi che odio il mio lavoro.
È in momenti come questi che so che lo faccio bene.

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