Vuole vestirsi da grande. Indossa i collant neri, un abito che le marca il vitino sottile, gli stivaletti che le evidenziano il lato B a mandolino, che è sicura fonte di invidia da parte delle compagne di scuola secche e spilungone. Mi chiede se può mettersi un po' di mascara sulle ciglia e un lucidalabbra. Rispondo di sì, perché tanto non si vedrà neanche: lei ha gli occhi grandi di natura, e le labbra che sembravano dipinte già quando era neonata.
Usciamo. Andiamo a una festa. La vedo che si atteggia, vuole fare la grande ad una festa da grandi.
Poi però tra gli invitati c'è anche un'altra bambina, a parte Angelica. Ormai sa ignorare molto bene sua sorella e sa comportarsi da adulta col cuginetto di un anno, ma il richiamo della piccola sconosciuta è troppo forte, e lei non è capace di non socializzare.
Dopo nemmeno mezz'ora di festa da grandi, Matilde sta a terra, con l'abito, i collant e gli stivaletti, a colorare su fogli di carta, giocare e ridere, usando la gonna per pulire gli occhiali fregandosene dello spettacolo delle sue mutande, e con il mascara stropicciato perché non sapeva che non doveva toccarsi gli occhi.
Dodici anni. A volte pochi, a volte troppi. Per me sono giusti. La adoro quando la sua spontanea immaturità vince sulle velleità emulatorie.
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