Ho iniziato in modo molto saltuario e occasionale, poco strutturato, seguendo semplicemente le indicazioni date di volta in volta dall'insegnante di yoga che, in ogni caso, non ci proponeva la meditazione a tutte le lezioni.
Durante i ritiri c'era una maggiore presenza costante, ma si saltava da una tecnica all'altra. Mi è comunque servito molto per introdurmi a questa pratica. Alcune tecniche non le ho proprio capite e non mi hanno risuonato, mentre altre ho continuato a seguirle anche dopo.
La prima svolta è stata quando ho iniziato la mia formazione come insegnante di yoga per bambini. Ci hanno anche insegnato una tecnica da proporre ai bambini che io ho trovato molto "alla mia portata" e ho iniziato a farla abbastanza spesso.
La svolta decisiva è stata quando ho seguito la formazione solo di mindfulness e meditazione per bambini. Da quel momento sì che ho praticato quasi quotidianamente. Ho anche desiderato approfondire e crescere nella meditazione, ed è stato così che un anno e mezzo fa ho ricevuto l'iniziazione da una monaca e sono entrata a far parte di una comunità spirituale. Da allora pratico la meditazione almeno una volta al giorno, tutti i giorni, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, nei giorni faticosi e nei giorni di vacanza.
Ho anche ricevuto il nome in sanscrito, che uso praticamente solo con i confratelli e le consorelle, ma che è importante che io lo dica, lo pensi, ne interiorizzi il significato.
E la storia potrebbe avere qui il suo lieto fine, se non fosse che - dopo l'entusiasmo iniziale - ho cominciato ad avere difficoltà (ma mai ripensamenti), a sentirmi frustrata e delusa dalla sensazione di staticità nella mia meditazione. Non che mi aspettassi di raggiungere l'Illuminazione in un mese (anche se secondo me è il miracolo in cui sperano tutti i praticanti), ma da quando ho cambiato tecnica, ricevendo il mio mantra personale su cui meditare, mi è sembrato di non fare passi avanti.
Ho chiesto aiuto e supporto, e mi è stato dato, ma in me non è cambiato nulla.
Fino a sabato scorso, quando ho avuto occasione di parlare con un'altra monaca che mi ha aggiustato svariati aspetti del mio approccio, uno dei quali davvero fondante, ed è cambiato tutto.
Alla fine del colloquio, mi ha anche detto che forse il nome che mi era stato adatto non era il più adatto a ciò di cui ho bisogno, e me ne ha suggerito un altro, che non suona bene come il primo, ma che ha un significato molto profondo e indubbiamente necessario per me.
E allora ho fatto questa riflessione.
Anche nella meditazione ho avuto la sensazione di faticare il doppio per ottenere la metà, come spesso mi è accaduto nella mia vita soprattutto professionale, però almeno in questo caso ho incontrato qualcuno che mi è stato di aiuto concreto e risolutivo. Non raggiungerò il Samadhi in questa vita, ma di sicuro la qualità della mia meditazione è migliorata tantissimo dopo gli aggiustamenti.
E poi il nome.
Io non so chi sono, mi sono sempre sentita tutto e il contrario di tutto, indefinita e indefinibile, con molteplici caratteristiche senza spiccare in nessuna di esse. E continuo ad essere così: sfuggente, mutevole, non classificabile, anche nel nome in sanscrito che mi rappresenta e mi guida.
Il primo nome ha a che fare con la bellezza, e quando l'ho ricevuto ci ho pianto su per un pomeriggio intero, perché essere definita con la parola "bellezza" per me è sempre stata una specie di utopia inimmaginabile. Ne avevo assolutamente bisogno, a un certo punto della mia vita. Mi ha aiutato a fare pace col mio passato, col bodyshaming che subivo da ragazzina, con il senso di inadeguatezza, di rifiuto da parte degli altri, mitigando anche quella sorta di accanita battaglia contro il mio aspetto fisico che ho perpetrato negli anni, soprattutto negli ultimi.
E' stato bello sentirmi definire simbolo di bellezza.
Il nuovo nome, invece, ha a che fare con l'apertura verso gli altri. E' ciò di cui ho assoluto bisogno adesso. Di donare per poter ricevere.
Tutto questo, dunque, è proprio "da me". L'indefinitezza, il cambiamento di rotta, la sensazione di aver sbagliato tutto per poi scoprire che anche l'errore ha avuto un senso, ha avuto un significato.
Boh, di sicuro non mi si può definire noiosa e monotona.
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