Combattuta tra entusiasmo e paura, ho lasciato che vincesse l'entusiasmo per accettare ciò che mi faceva paura.
Ho assistito ad un concerto per pianoforte, con la matematica certezza che l'emozione sarebbe stata tanta, troppa, superiore al mio controllo, e così è stato.
Tre giovani pianisti si sono susseguiti, e per ciascuno di loro ho pianto. La mia vicina di sedia mi ha guardato con curiosità, ma io me ne sono infischiata e non mi sono trattenuta.
Che ne sai tu, vecchia carampana, di quale dolore mi nasca nel cuore ascoltando un pianista dal vivo? Che ne sai di quanto sono capace di piangere osservando le sue mani, i tendini in evidenza sugli avambracci, l'ondeggiare del capo, il piede destro che pigia e rilascia il pedale, che ne sai? Che ne sai di quanto ho sognato e sperato e voluto essere io al posto loro? Di quanto mi basta guardare le loro dita per sentire sul mio corpo la fatica, la tensione, la concentrazione e la potenza della musica, intesa come energia cinetica di corde percosse da martelletti?
Ho fatto bene ad andare, anche se è stato emotivamente forte. La musica era la mia vita, e anche se ormai non lo è più, è stato bello sentire che quella parte di me non è nemmeno del tutto morta.
Nessun commento:
Posta un commento