Per una curiosa concomitanza di disservizi e presunzione di diritti inesistenti, alle scuole medie ho studiato francese, e a quei tempi si studiava una sola lingua straniera, ed ho proseguito anche al liceo dunque non ho mai davvero imparato l'inglese. Non l'ho mai studiato in modo ragionato e strutturato, come si può fare a scuola, né ho mai avuto modo e occasione di praticarlo dal vivo.
Solo dopo il diploma, con l'arrivo di internet a casa, ho iniziato a sforzarmi di decifrarlo, e tale continua ad essere il mio livello attuale: mi sforzo di decifrarlo e di, eventualmente, farmi capire. Un livello che mi ha permesso di viaggiare all'estero e tornare, di dare indicazioni ai turisti, di sostenere conversazioni semplicissime e poco altro, ma questa gravissima lacuna, durante l'adolescenza, mi ha precluso la musica straniera. Perché quando hai 16 anni e ti struggi di nemmeno-tu-sai-cosa vuoi ascoltare canzoni che parlino a te e di te, e lo scoglio linguistico è insormontabile.
Per questo motivo la musica con cui sono cresciuta, sono passata dallo status di bambina a quello di donna, è la musica italiana di quegli anni, dalla Pausini a Grignani, dagli 883 a Bersani, da Antonacci a Giorgia.
Ecco perché sono drogata della play list '90 Italia su Spotify.
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