09/03/25

25 anni

Oggi mi concedo un piagnisteo come ai vecchi tempi. Sono passati 25 anni da quel giorno, quando ho ricevuto a casa la telefonata di una  mia ex compagna di scuola che mi comunicava che Andrea era morto.
Non so che tempo faccia oggi a Bagheria, a Torino è cupo, grigio e nuvoloso, ma quella mattina di 25 anni fa splendeva il sole. Io ho guardato ammutolita fuori dal balcone della mia stanza quel panorama di mare che tanto piaceva ad Andrea e il primo pensiero che ho avuto è stato che non lo avrebbe mai più potuto guardare davvero, per sempre.
L'inesorabilità della morte è stato ciò che mi ha colpito di più di tutto. La presa di coscienza dell'irreversibilità del processo. Il "mai più" che era improvvisamente diventato un mai più per davvero. Non ci potevo ripensare, non c'era più speranza di rimediare, di recuperare, di pentirsi, di scusarsi, di riavvicinarsi.
Mai più.
Mentirei se dicessi che gli ultimi 25 anni della mia vita non sono stati fortemente condizionati da quel momento, da quella presa di coscienza. Da quel dolore che esplodeva con tutta la sua magnificenza, marchiandosi senza pietà su ogni cellula del mio corpo, della mia anima, dei miei pensieri e dei miei sogni.
Lo sappiamo solo noi e la persona che mi ha accompagnato che, quando ho organizzato "il commiato" alla mia terra, prima di trasferirmi a Torino, io sono andata di nuovo su quella tomba, e non ci andavo dal giorno del funerale. Sono andata a rileggere il post di allora e lo trovo ancora vero, autentico. Ci stava.
25 anni sono tanti, ma non sufficienti a farmi dimenticare di lui, da vivo, né di lui da morto.
E' stato il primo vero amore tormentato della mia vita. A metà tra un amore corrisposto e non, a metà tra un'amicizia totalizzante e non, tra l'essere vittima e carnefice. Il primo enorme senso di colpa che mi porto ancora dentro e che - in virtù del "mai più" della morte - non si esaurirà; un "buco nel cuore" l'ho sempre definito, ed è ancora così.
Sono passati 25 anni e non riesco a smettere di ricordare la sua voce, il suo sorriso, la sua bravura nel disegno. L'amarezza nel suo sguardo, la rabbia soffocata che qualche volta esprimeva contro se stesso.
Ed io, che affacciata al balcone della mia stanza, lo aspettavo quasi tutti i pomeriggi per studiare insieme, e lo riconoscevo da lontano dal giubbino azzurro, e mi batteva forte il cuore.

Tornerai su questo mondo un giorno, Andrea. Forse per allora il nostro destino sarà diverso, o forse no.

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