Mi fermo a guardarla, con quei suoi occhioni luminosi e vivi dietro gli occhiali, sempre desiderosi di capire, di sapere, di imparare.
"Matilde, ma che stai dicendo?"
"Ma scusa, non vai a fare lezione in un centro di riabilitazione? Là... sul tuo planning, cosa c'è scritto?"
Indica la mia tabella con l'orario settimanale delle lezioni di yoga e dei luoghi dove si svolgono.
"Per favore, dimmi esattamente dove leggi "centro di riabilitazione", così, per essere sicura che non ti serva una visita dall'oculista"
Si alza, si avvicina alla parete dove sta appeso il foglio, ride.
La amo quando ride già pregustando le ulteriori risate che si farà quando scoprirà di aver travisato tutto.
"Qua! Educatorio! Non è una specie di comunità per tossicodipendenti?"
Io lo avevo capito già dalla seconda battuta che era quello il nome che aveva travisato.
"No, tesoro mio, l'Educatorio non è un centro di recupero per tossicodipendenti. E' una scuola. Privata. Per ricchi. Nel secondo quartiere più ricco e chic della città".
Ecco che si sganascia letteralmente dalle risate.
D'altro canto non è la prima volta che dimostra di non avere la più pallida idea di che lavoro facciano i suoi genitori... aveva iniziato all'asilo quando, alla consegna di "Disegno il lavoro di papà" aveva disegnato Schroeder con dei rettangoli in mano. La didascalia recitava "Papà passa i fogli agli altri".
Coi bro della rehab mi è finita meglio: mia figlia pensa che io faccia un lavoro nobile per puri di spirito.