17/04/25

La voce della metro

Mi esercito nella dizione e nell'impostazione della voce, imparando a memoria una piccola parte che reciterò al saggio del corso di teatro.
La voce non è tanto complicato... sono abituata per lavoro a parlare bene, chiaro, scandito, con espressione.
La dizione è un disastro, naturalmente, anche se il professore mi dice che sono quella che gli dà maggiori soddisfazioni perché - appunto - parto da una base molto svantaggiata e invece quando mi metto d'impegno riesco ad avere una dizione più che accettabile. 

Matilde mi sente, dall'altra stanza:
"Mamma, ma sembri proprio un'altra persona quando parli così, tutta con le s dolci e le vocali chiuse!"
"Lo so, infatti è per questo che non parlerò mai così nella vita di tutti i giorni"
"Dai, fai la voce della metro!"
"Ma che dici...?!"
"Daaaaai! Fai la voce della metro!"

Non sopporto questo tentativo di svuotare di significato la mia fatica, il mio lavoro, il mio impegno, il modo innaturale con cui mi sto sforzando di essere quella che non sono, la discesa nell'abisso del non sentirmi più me stessa, nel non riconoscermi; la trovo proprio una richiesta inopportuna e irrispettosa.

Sospiro.

"Bernini. Prossima fermata, Bernini"

E lei ride. Ed io con lei. Perché non sarò mai un'attrice di teatro, ma non perché non so la dizione corretta, bensì perché di fondo sono una pagliaccia e non perderei mai l'occasione di far ridere le mie figlie.

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