03/09/19

Lo sguardo della psicologa

Alcune volte, durante le sedute di psicoterapia, ho difficoltà ad esprimere a parole quello che sento. Spesso mi viene in mente un colore, oppure una sola parola, e da lì partiamo insieme a razionalizzare, a spiegare cosa sto provando. Altre volte invece no, mi sento immersa in una nebbia lattiginosa che mi impedisce persino di muovermi, e sono le sensazioni alle quali non so dare un nome. 
Quando lo dico alla dottoressa, la osservo sempre. Alcune volte capisco dal suo sguardo che lei sa perfettamente come si chiama quella cosa che io non riesco a riconoscere in modo razionale, ma non me lo dice perché il suo lavoro non consiste nel farmi spoiler delle mie paturnie, ma aspettare e guidarmi perché io le riconosca. Per me è molto rassicurante, perché va bene che non so o non capisco cosa mi crea dolore o disagio, ma sapere che nel mondo qualcuno lo sa mi fa stare più tranquilla, e mi rende fiduciosa.  
Altre volte, invece, e sono le peggiori, la vedo smarrita, e non capisco se è perché non si aspettava un tale risvolto nella trama, oppure se perché nemmeno lei capisce di cosa si tratta. Ed è solo questi casi che mi offre aiuto, mi porge ipotesi di interpretazioni per avere conferma o smentita.
Ieri è stata una seduta di quest'ultima tipologia, solo che l'ho dovuta smentire fortemente perché non trovavo affatto verosimile la sua interpretazione.
Quando va così, esco dallo studio con una sensazione di incompletezza, e me la trascino per giorni e giorni.

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