25/05/17

Un marchio, un'opportunità

Su due punti cruciali e fondamentali lavoreremo, con lo psicoterapeuta, nelle prossime settimane.
Il primo lo tengo per me, fino a che non l'avrò risolto. Perché è forte, intimo, doloroso. Un nervo scoperto in piena regola.

Il secondo punto consisterà nello sforzo di accettare l'idea che ciò che ho sempre vissuto come un marchio, una limitazione degradante, una caratteristica esclusiva e preclusiva della mia personalità, possa diventare un'opportunità professionale.
Elevare la dignità della mia naturale propensione all'accudimento, all'educazione e alla crescita dei bambini, in un mestiere.
Per anni e anni mi sono sentita come se l'unica cosa che sapessi fare era crescere bene le mie figlie.
Ecco. Metà del mio lavoro in terapia riguarderà proprio questo: io sono brava a crescere bambini. Non è certamente l'unica cosa che so o che posso fare (nonostante sembri quasi che io sia stata allevata con questo destino e, casualmente o inconsciamente, mi sia costruita una famiglia fondata su questa base. Tra l'altro assecondata e mai contraddetta neppure da mio marito, che forse la pensava pure in questo modo, oppure non gli è interessato spronarmi a dimostrare il contrario: non lo saprò mai). Non è l'unica cosa che so e che posso fare, dicevo, ma sicuramente è una cosa che faccio bene, e non solo con le figlie mie, ma anche con i figli degli altri.
È una mia competenza spendibilissima nel mercato del lavoro: il mondo è pieno di famiglie che hanno bisogno di aiuto e supporto coi bambini.

Fino a ieri era una croce che mi trascinavo, il segno del mio fallimento nella vita.
Da domani potrà essere il mio mestiere.
Devo solo impegnarmi a considerarlo non un ripiego, ma un lavoro che so svolgere con competenza e responsabilità.

...meno male che ci sarà lo psicoterapeuta a darmi supporto.

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