Stamattina ascoltavo una riflessione a tal proposito e mi sono fermata a riflettere su quanto sia storto il modo con cui cresciamo e alleviamo le bambine, educandole fin da subito a stare attente, a non mettersi nei guai, ad essere remissive e rispettose, sempre carine e coccolose. Iniziamo fin da subito a ingabbiarle nello status delle vittime, ché se ti succede qualcosa la colpa è tua perché hai avuto l'ardire di vestirti in un certo modo, o di replicare in un certo modo, o ti sei sfacciatamente sentita libera di andare in un certo posto o di fare una certa cosa.
Ammetto che - una volta presa consapevolezza di questo - faccio grande fatica a non commentare gli outfit delle mie figlie, mai indecenti in termini assoluti, ma che visti con occhi malati potrebbero sembrare provocanti.
Provocanti. Che parola orribile. E' quella che trasforma la vittima in carnefice di se stessa e la rende responsabile del comportamento di chi la violenza la agisce. Assurda parola.
Nessuno mi ha mai fatto fisicamente del male - ci tengo a precisarlo - ma di ricatti morali in tal senso ne ho ricevuti molti. E due miei uomini del passato, pur non colpendomi mai con forza, qualche volta lo hanno fatto. A volte camuffandolo da gesto di cameratismo, anche se eravamo fidanzati e non commilitoni, per una mia battuta pungente, o semplicemente come gesto di sfogo di una frustrazione costante e soffocata che provavano nei miei riguardi. Una volta uno di loro lo fece persino davanti a suo padre, e lui lo rimproverò duramente, ma non disse niente a me, né prese mai più l'argomento.
Quando ero ragazzina, invece, mi sentivo in colpa per il mio corpo giovane e allettante che attirava gli sguardi indiscreti di un uomo che mi veniva più o meno parente e che in quegli anni frequentavamo spesso in famiglia.
Mi spiava da sotto il tavolo ed io ho smesso di indossare gonne. Ma gli aspetti più orribili sono due: il primo è che mi sentivo io responsabile; cioè lui era un vecchio porco che guardava sotto la gonna di una ragazzina di 15-16 anni ed ero io che me ne sentivo colpevole e quindi ho smesso di indossare le gonne che tanto mi piacevano; il secondo aspetto è che i miei genitori lo sapevano e non facevano assolutamente niente.
Ecco perché non dico mai alle mie figlie che hanno indossato una gonna molto corta, oppure che non devono indossare il top che lascia la pancia parzialmente scoperta. Perché non voglio che si sentano come mi sentivo io, costretta a rinunciare al mio piacere nel vestirmi come volevo, per non essere provocante.
L'ho già detto che trovo la parola "provocante" la più terribile fra le parole?
Siccome vivo nel mondo di oggi, so che è un rischio andare in giro con le gambe scoperte o con l'ombelico di fuori, ma credo fermamente nel cambiamento culturale "dal basso". Mai e poi mai permetterei a nessuno di dare la colpa al loro modo di vestire se dovesse succedere loro qualcosa.
Probabilmente io perderei il lume della ragione e mi trasformerei in creatura feroce nei confronti di chi fa loro del male, ma mai e poi mai darei loro la responsabilità, seppure minima, di ciò che potrebbe accadere. Voglio che si sentano libere di piacersi, perché anche gli altri sono esseri senzienti e dotati di intelletto, e usare violenza su una donna solo perché indossa una minigonna non è comportamento da essere senziente dotato di intelletto. La colpa non è della minigonna.
Incrocio le dita e spero in bene. Incrocio anche quelle dell'altra mano e spero che le loro figlie o le loro nipoti possano guardare a me, che ho smesso di indossare gonne, come io guardo a mia nonna, costretta a sposarsi per rimediare alla colpa di aver attirato le attenzioni di un uomo che l'ha rapita, violentata e compromessa quando aveva 14 anni.
Come oggi non ammettiamo più l'idea di "matrimonio riparatore", sogno un futuro dove nessuno ammetterebbe più la domanda "Com'eri vestita?".
E in tutto questo, proprio oggi l'altro mio nonno avrebbe compiuto 100 anni. Anche loro si sposarono riparando alla fuitina, ma quanto meno quell'altra mia nonna, pur essendo giovanissima, era complice e consenziente.
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